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Bonifacio VIII, nella sua famosa bolla Antiquorum habet digna fide relatio, con la quale veniva indetto il Giubileo del 1300, non indicava quattro basiliche romane, ma soltanto due, di San Pietro e di San Paolo. "Decretiamo - scriveva - che quelli che vorranno partecipare a questa indulgenza da noi concessa, debbano visitare le dette basiliche per trenta giorni continui, o interpolatamente, èd almeno una volta al giorno, se sono romani; o quindici giorni nella stessa maniera, se sono pellegrini forestieri". La città, vista dal Mons Malus, diventato Mons Gaudii per i pellegrini, appariva cinta di mura merlate, con nove porte maggiori, folta di settecento torri, fra le quali spiccava quella delle Milizie, e di duecento campanili. Passato il Ponte, sotto la Mole Adriana, trasformata anch'essa in una fortezza merlata, per anguste e contorte viuzze si giungeva in una piazzetta irregolare, chiamata la "cortina di San Pietro", contornata da cappelle e da oratori per le particolari devozioni.
Vaticanum doveva essere, molto probabilmente, il nome di un villaggio etrusco, dipendente da Veio, oltre il Tevere e alla periferia dell'Urbe. L'area fu bonificata per la creazione d'un circo, per il quale venne trasportato da Eliopoli l'obelisco che oggi si erge nel mezzo della piazza e che nel Medioevo veniva designato come "guglia di San Pietro". Attorno al Circo si distesero giardini fin sulla riva del Tevere, il più vasto dei quali appartenne a Nerone, che vi mietè un gran numero di martiri cristiani. Fra le altre tombe, quella di San Pietro era segnata da un piccolo oratorio, sul quale Costantino volle innalzare la prima basilica cristiana, con una incredibile rapidità. I lavori furono iniziati nel 324 e due anni dopo, nel 326, il Papa Silvestro la consacrava. E vero che la costruzione della basilica si compì soltanto nel 349. Venticinque anni di intenso lavoro, durante i quali il Vaticano fu il cantiere più operoso di Roma. Sappiamo quale fosse lo schema architettonico delle basiliche cristiane, di cui San Pietro fu il prototipo. Si può immaginare però come, nei secoli, su quel chiaro schema dovessero crescere, per concrezione, le stalattiti di una decorazione devota, proveniente, per lo più, dall'Oriente. La basilica costantiniana, "regina delle chiese", s'elevava su trentacinque scalini marmorei, che i pellegrini facevano in ginocchio. Un ripiano di pietre preziose formava una specie di balcone dove venivano incoronati i Papi e ricevuti i sovrani. A destra, un campanile romanico, con ai piedi l'oratorio di Santa Maria in Turris; a sinistra, la famosissima "guglia di San Pietro", formata da un obelisco egiziano. Dinanzi alla basilica, s'apriva il quadriportico, o Paradiso, con la grande fontana a forma di pigna. S'accendeva all'interno della basilica da cinque porte, corrispondenti alle cinque navate. Nel centro, la Porta Regia, detta anche Argentea, perché ornata d'argento. A destra, la Porta Romana, riservata ai cittadini romani, che si attribuivano l'entrata d'onore. Ai trasteverini, che fra i romani formavano una popolazione a parte e venivano chiamati "ravennati", era riservata la porta di sinistra, chiamata perciò la Ravenniana. Dall'estrema porta di destra entravano i pellegrini condotti da speciali guide, e perciò era detta Porta Guidonea; dall'altra, all'estrema sinistra, passavano i funerali e veniva chiamata la Porta del Giudizio. La struttura interna era ancora quella basilicale, con quattro file di colonne e il tetto a capniate di legno, ma dieci secoli di devozione avevano fatto di San Pietro uno scrigno di tesori, con profusione di pietre preziose e di metalli nobili, venuti da tutte le parti del mondo e in special modo dall'Oriente. Non c'era stato Papa che non l'avesse arricchita di suppellettili; non c'era stato sovrano che non le avesse donato opere d'arte. Fulgenti mosaici nicopnivano le mura e dal soffitto pendevano innumerevoli lampade votive. Da Costantino in poi, la nave di San Pietro era stata strabocchevolmente caricata d'inestimabili tesori. Ma il tesoro dei tesori, per i devoti abbarbagliati da tanta ricchezza, era costituito dalle reliquie conservate nell'altare della Confessione: il legno della Croce, le spine della Corona, i chiodi del supplizio, la lancia di Longino e, meraviglia delle meraviglie, la vera immagine di Cristo, impressa nel velo della Veronica. La basilica si empì di tabernacoli per le sempre crescenti reliquie. Tombe di Papi e di sovrani la ingombravano, mentre i più ricchi e rari ex-voto pendevano da ogni lato. La decorazione artistica èra affidata a preziosi mosaici, a sculture simboliche, ed oggetti di stupenda oreficeria. I pellegrini che entravano in San Pietro erano quasi sopraffatti da quell'abbondanza di reliquari e dalla ricchezza degli oggetti votivi, che forse davano alla basilica l'aspetto di un santo bazar. Si capisce perciò come, col passare dei secoli e col mutamento del gusto estetico, si pensasse di dare all'antica basilica una nuova dignità architettonica. Quando, al principio del Quattrocento, la basilica diede segni di stanchezza, minacciando di rovinare, Niccolò V, il Papa umanista, incaricò un artista rinascimentale, non del restauro, ma di un vero e proprio, rifacimento secondo i canoni della nuova architettura. Così il fiorentino Bernardo Rossellino, nel 1452, lasciando intatto il quadriportico, sgombrò la basilica dalle antiche strutture. Per la morte del Papa e dell'architetto, il lavoro venne interrotto. Fu ripreso con maggiore risolutezza da Giulio Il, che volle una chiesa tutta nuova, a pianta centrale, che esprimesse l'unità e la potenza della Chiesa, in una specie di nuovo Pantheon, dentro il quale il fiero pontefice sognava il proprio mausoleo scolpito da Michelangiolo. Il Bramante, autore del primo progetto a pianta centrale, non ebbe rispetto né per cappelle né per tombe, meritandosi il titolo di Mastro Ruinante. I lavori per la ricostruzione secondo il disegno unitario furono iniziati nel 1506. Sette anni dopo moriva Giulio Il e un anno dopo anche il Bramante. Ma il progetto andò avanti sotto la direzione di Raffaello, di fra Giocondo e di Giuliano da Sangallo, che riprese però il disegno a croce latina. Alla croce greca tornò Baldassarre Peruzzi, ed ancora alla croce latina Antonio da Sangallo, fino a che Michelangiolo, diventato maestro dell'opera, contro la "setta sangallesca", non impose un suo nuovo progetto a croce greca, sormontata da una cupola di tipo brunelleschiano. Morto Michelangiolo, i successori, il Vignola, il Ligorio, il Della Porta, il Fontana, si mantennero fedeli al progetto del maestro, ma Paolo V ordinò poi a Carlo Maderno di allungare in avanti la navata, tornando così alla croce latina, con la facciata compiuta nel 1614, e alla quale il Bernini aggiunse il disegno di due campanili laterali, uno non costruito e l'altro disfatto perché pericolante.
Anche la basilica di San Paolo si trovava lontano dall'Urbe, come lontano, verso la campagna, si trovavano le catacombe e i loculi dei primi cristiani martirizzati. Era stata la matrona Lucina a raccogliere, lungo la via Ostiense, il corpo decapitato di San Paolo. E anche su quella cella memoriae, Costantino volle costruire una basilica, ma non così grande come quella di San Pietro. Ad ingrandirla pensò, nel 385, Valentiniano 11 e dopo di lui Teodosio ed infine suo figlio Onorio, insieme con la sorella Galla Placidia, che ornò l'arco della basilica con splendidi mosaici. Nel V secolo la basilica di San Paolo aveva così superato, per grandezza e solennità, quella di San Pietro. Anche un'incursione di pirati saraceni, avvenuta nel IX secolo, non la danneggiò che superficialmente. Era la prima basilica fuori delle mura, e quindi indifesa, che incontrava chi veniva dal mare, sbarcando ad Ostia. Perciò Giovanni VIII le creò attorno una cittadella munita, chiamata da lui Giovannipoli. Quasi inalterata (di nuovo non aveva, come vedremo, che pochi elementi) con le sue cinque spaziose navate, divise da 80 purissime colonne, decorata con mosaici ed affreschi, la Basilica di San Paolo aveva superato indenne i fervori del rinascimento e i furori del barocco. Aveva ancora i caratteri della prima basilica, col tetto sorretto da potenti capriate, quando Michelangiolo voltava la sua cupola di San Pietro e quando il Bernini attorcigliava le colonne del suo Baldacchino. Era giunta così, quasi miracolosamente intatta, al 1823 quando un incendio accidentale la distrusse; fu di ricostruita com'era al momento dell'incendio con rigore, ma insieme anche con la freddezza dovuta al dominante gusto neoclassico. Grandioso, ma gelido, il quadriportico antistante la basilica, con 146 colonne di granito e con tre gigantesche statue di San Luca, San Pietro e San Paolo. Nella destra del transetto, si trova una scultura raffigurante l'Apostolo delle Genti, in legno scheggiato. Si crede, per tradizione, che abbia la stessa altezza di San Paolo. E' una reliquia salvata dall'incendio, che per fortuna risparmiò altre parti della basilica, per esempio il finissimo Tabernacolo, capolavoro di Arnolfo di Cambio e l'ornatissimo Candelabro pasquale. Anche i mosaici bizantini, ordinati da Galla Placidia e che raffigurano, sull'arco trionfale, Cristo benedicente,fra due Angioli adoranti, i simboli dei Quattro Evangelisti e i 24 seniori apocalittici, non andarono distrutti nell'incendio, mentre sul rovescio dell'arco venne danneggiato l'affresco di Pietro Cavallini, raffigurante Cristo benedicente tra i simboli degli Evangelisti, e poi San Luca, San Marco, San Pietro, San Paolo. Altra insigne reliquia è il mosaico del catino, che Onorio III, nel 1220, ordinò ad artisti veneziani, per mezzo del doge Pietro Ziani. Raffigura Cristo benedicente, con ai piedi Onorio III e ai lati Angioli, Apostoli, e simboli della Passione. 11 soffitto ricostruito a cassettoni ripete il disegno rinascimentale e così l'impiantito marmoreo, che rispecchia la luminosità della navata centrale, molto più alta di quelle laterali. Al complesso monastico appartiene anche il bellissimo Chiostro duecentesco: San Paolo faceva parte infatti d'un monastero benedettino.
Come San Paolo, anche Santa Maria Maggiore ha conservato, nell'insieme, il carattere dell'antica basilica. L'attributo di Maggiore, le viene dall'essere la chiesa più grande, dedicata alla Madonna, in Roma. Ma nel passato ebbe altri nomi. Sorse, infatti, come Santa Maria della Neve. La notte sul 5 agosto del 352, il Papa Liborio e il patrizio romano Giovanni ebbero lo stesso sogno: la Madonna chiedeva loro di erigere una chiesa nel luogo dove il giorno dopo sarebbe nevicato. E il giorno dopo, per quanto sotto il solleone, la neve cadde in un rettangolo di terreno, sulla sommità dell'Esquiino. Su quella neve, Papa Liborio disegnò la pianta della chiesa e il patrizio Giovanni prese l'impegno di pagarne le spese. Quella primitiva chiesa venne rifatta, con maggiore ricchezza di mezzi, da Sisto III, verso il 440. Nel 431, il Concilio di Efeso aveva proclamato la divina maternità di Maria, ponendo fine alle accese controversie, durate per quasi un secolo. Così, se la chiesa di Papa Liborio, del 352, poteva segnare l'inizio della controversia, quella di Papa Sisto III, del 440, poteva segnare la vittoria della Vergine, alla quale ormai potevano esser dedicati archi di trionfo come al suo divino Figliolo. Si era ancora nella fase delle basiliche romane, dove, come abbiamo visto in San Paolo, Cristo appariva benedicente sulla sommità dell'arco trionfale e nel catino dell'abside, perciò, basilicale e romano fu lo stile architettonico della nuova chiesa, dove la Vergine sarebbe stata finalmente raffigurata in compagnia del Figlio, sull'arco di trionfo e nel catino dell'abside. E quando giunsero a Roma le presunte reliquie della mangiatoia dove aveva vagito Gesù, nessun luogo, per conservarle e venerarle, parve migliore della basilica dedicata alla Madre che su quella mangiatoia aveva gioito e trepidato. Fu così che la chiesa prese il nome di Santa Maria al Presepe. Soltanto più tardi prevalse il nome di Saùta Maria Maggiore, che ancora le dura. Non era molto grande la nuova chiesa. In compenso aveva una preziosa decorazione dovuta ad un gran numero di mosaici. La navata maggiore era delimitata dalle due minori, mediante una doppia fila di colonne dal capitello ionico, sul quale correva l'architrave, da cui il muro finestrato giungeva fino al tetto. Su quel muro, in tanti riquadri erano raffigurati gli episodi dell'Antico Testamento, mentre sull'arco trionfale, in epoca successiva, vennero rappresentati gli episodi del Vangelo di San Lucà riguardanti più direttamente la Vergine. I mosaici del catino furono eseguiti nel 1295 da Jacopo Torriti e raffigurarono Gesù in trono che incorona la Madre, ai cui piedi sono il sole, la luna e le stelle, e poi i Cori Angelici, i Santi Pietro, Paolo e Francesco, Giovanni Battista, Iacopo e Antonio, il Papa Niccolò e il cardinale Jacopo Colonna, tutti devoti della Vergine, tutti a Lei fedeli. Del principio del Cinquecento è invece l'elegantissimo soffitto a cassettoni, attribuito a Giuliano da Sangallo e dorato col primo oro portato da Cristoforo Colombo dall'America e che Ferdinando ed Isabella di Spagna avevano donato al Papa Alessandro VI. La chiesa era dominata da due campanili di stile romanico, uno ancora esistente, il più alto campanile di Roma. Molto antica è una delle tante Madonne dette di San Luca, ma probabilmente del IX secolo, veneratissima dal popolo romano, e portata in processione nelle calamità cittadine.
San Giovanni in Laterano è la madre di tutte le chiese del mondo. Omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput. La chiesa del Papa non è San Pietro, ma San Giovanni in Laterano, cattedrale di Roma. San Giovanni in Laterano non è dedicata ad un solo santo, ma a due, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista. I Laterani, famosa e ricca famiglia, avevano qui il loro palazzo, confiscato da Nerone e passato a Costantino tramite la moglie Fausta. E nella Domus Faustae, Costantino volle che ponesse la propria sede il vescovo di Roma, successore di San Pietro. E il Papa, infatti è il vescovo di Roma, che aveva la sede ufficiale nel Palazzo Laterano. In quel palazzo, per secoli, diedero udienza i Pontefici, in quel palazzo venne ricevuto il Poverello d'Assisi, da quel palazzo Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo. Annessa al palazzo, sorse subito la cattedrale di Roma, cioè la chiesa dove si trovava la cattedra del vescovo, maestro di dottrina e di morale. Sorse anch'essa in forma di basilica, dedicata prima al Salvatore e poi ai Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista. Perciò si dovrebbe dire: Santi Giovanni in Laterano. Fu subito talmente ricca da meritarsi l'attributo di Aurea. Perciò, nel 455, venne devastata e spogliata dai Vandali di Genserico. Restaurata da San Leone Magno, fu danneggiata, nell'836, da un terremoto, ma settant'anni dopo veniva ancora considerata la "meraviglia del mondo cristiano". Il momento culminante della sua celebrità fu quello del primo Giubileo, mentre durante la cattività d'Avignone, per l'assenza del suo vescovo, la basilica cadde in abbandono. Andata a fuoco nel 1308, ricostruita e ribruciata nel 1360, sembrava che su di essa s'accanisse la mala sorte. E quando un nuovo terremoto, nel Seicento, la rese pericolante, Innocenzo X ordinò a Francesco Borromini di rifarla in stile barocco. Come sarà stata la prima "aurea" cattedrale del Salvatore? E la "meraviglia del mondo cristiano"? E la meta di tutti i pellegrini del mondo? Giovanni Rucellai la vide "con cinque navi et cinque porti, con due filari di pilastri et due di colonne": il solito schema basilicale. Poi vi notò "presso l'altar maggiore quattro colonne di bronzo, scanalate, vote dentro, con base et capitello, alte circa braccia dodici". In una cappella " una cassa di bronzo entrovi la verga d'Aron et le leggi che Dio Padre diè a Moysé". Poi "la tavola dove mangiò Cristo cogli apostoli, di legname, quadra, di circa braccia tre per ogni lato". E infine: "sopra l'altare maggiore, la testa di Santo Pietro et di Santo Pagolo, ornate d'ariento et d'oro con molte pietre preziose, et da torno molte graticole di ferro, et serronsi con molte catene con chiavi, per dubbio ch'elle non sieno tolte". Evidentemente, i pellegrini, anche se colti, non ricercavano che le reliquie e poco apprezzavano le opere d'arte. Eppure nel catino doveva sfavillare il mosaico eseguito sulla fine del Duecento da Jacopo Torriti e da Jacopo da Camerino, riprodotto néll'Ottocento durante il rifacimento dell'abside. Vi si vede, in un cielo tempestoso, il Cristo Giudice accompagnato dagli Angioli. In basso, fra cervi ed agnelli, la Croce gemmata, dalla quale scendono i quattro fiumi evangelici. A destra della Croce, la Madonna con ai piedi, piccolo e in ginocchio, il Papa Niccolò IV, che ordinò il mosaico; poi San Pietro e San Paolo. A sinistra, San Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista e Sant'Andrea. Niccolò 1V, francescano, fece introdurre, più piccole, le figure di San Francesco e di Sant'Agostino. Nel secondo pilastro, a destra entrando, si vedono i resti di un affresco, già attribuito a Giotto, con Bonifacio VIII che indice il primo Giubileo. Ma delle parti più antiche non si possono dimenticare due autentici gioielli: il Battistero, forse già ninfeo dei Laterani e dove si credette che venisse battezzato Costantino; il chiostro, con colonnette abbinate, costruito negli anni dal 1222 al 1230.
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1999, Dario Monti |