Pozzuoli, la via Domitia e la via Campana |
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Arrivare dal mare a Pozzuoli è una esperienza indimenticabile. Si ha subito la sensazione di entrare in una grande caldera vulcanica in stato di quiescenza, larga una decina di chilometri, i cui limiti sono Capo Miseno ed il Monte di Procida a occidente e la collina di Posillipo e l'isola di Nisida a oriente. Sullo sfondo la collina dei Camaldoli, i rilievi settentrionali del cratere di Quarto, la collina di Sanseverino. In questo semicerchio si trovano vari crateri, alcuni dei quali presentano manifestazioni gassose effusive (la Solfatara) o idrotermali (Agnano, Lucrino). Uno di questi, il monte Nuovo, è nato dal nulla nel 1538 in seguito ad un fenomeno disastroso che ha distrutto un paese ed ha cambiato in modo definitivo l'area di Baia. Studi attendibili prevedono che in un prossimo futuro possa riprendere l'attività sismica ed eruttiva con imprevedibili conseguenze. Non è possibile arrivare in questi luoghi senza un po' di timore e di rispetto e senza desiderare di conoscerli in modo approfondito nella loro storia e nella loro natura selvaggia a stento modificata dalle superfetazioni umane. Un disegno riprodotto da un ricordo di viaggio, una fiaschetta vitrea romana conservata a Praga, ci aiuta ad immaginare la vita che scorreva su questi litorali già duemila anni fa quando qui convergevano da ogni parte le spezie, gli schiavi, il vino, le ceramiche, gli oggetti preziosi destinati al mercato romano, e soprattutto il grano per Roma, portato ogni anno dalla "flotta alessandrina".
Immaginiamo quindi, gli uni vicini agli altri, gli imponenti e scenografici complessi delle terme di Nettuno, l’anfiteatro, il teatro, il Ninfeo di Diana, il tempio di Giove sulla sommità della cittadella, le colonne e gli archi trionfali che ornavano il pontile di Caligola, il macellum o mercato pubblico e, sopra le colline, le residenze di campagna dei ricchi Romani che, come Cicerone, avevano scelto queste zone per la loro bellezza e le viste marine mozzafiato.
Qui i viaggiatori si fermavano qualche giorno, come fece Paolo di Tarso per ristabilirsi dopo le fatiche e le privazioni del lungo viaggio per mare, per poi ripartire a piedi o a cavallo per Roma su strade affollate da lunghe e lente carovane di pesanti carri trainati da buoi. I collegamenti con la via Appia e la capitale erano garantiti da due strade basolate: la prima è la via consolare Puteolis Capuam che conduceva all'odierna Santa Maria Capua Vetere, la seconda è la via Domitia, aperta nell’anno 95 che, passando per Cuma, Liternum e la foce del Volturno, incontrava più a nord l’Appia a Sinuessa (presso Mondragone). La Domiziana Iniziava al quadrivio di piazza Capomazza e seguiva l'odierana via Luciano dove sorgeva un edifico termale del primo secolo di cui restano alcuni muri di fondazione, lo stadio e, in posizione dominante, la villa di Cicerone in cui venne temporaneamente sepolto l’imperatore Adriano. Continuava, in mezzo a uliveti e vigneti, fino alla località indicata nella Tabula Peutingeriana con In Vineas, sede di una stazione di sosta nota in seguito come Tripergole e divenuta famosa per le sue sorgenti termali curative ed il suo ospedale costruito nel 1298 da Carlo II d'Angiò con funzione anche di Xenodochio.
L'eruzione del 1538 distrusse completamente Tripergole e le ceneri si depositarono fino a formare una nuova montagna, il monte Nuovo, e di conseguenza la via Domitia dovette deviare più a nord per poi proseguire sul bordo superiore del lago Averno fino al maestoso Arco Felice, la porta monumentale di Cuma. La cittadella di fondazione greca, ora nascosta dalla boscaglia, doveva comparire sullo sfondo del mare Tirreno con i suoi templi in marmo bianco dedicati a Giove e ad Apollo ed i suoi imponenti edifici pubblici.
Qui la strada Domitia curva verso nord, parallela alla linea di costa fino a Liternum, colonia marittima in prossimità del lago Patria, divenuta importante in epoca augustea proprio per il passaggio della nuova strada. Ora restano poche vestigia che non rendono l'idea della reale dimensione dell'antica città. La stazione successiva, indicata dalla Tabula Peutingeriana è Vulturno (sorgeva a monte dell'attuale municipio di Castel Volturno) dove c'era un imponente ponte sul fiume Volturno fatto costruire dall'imperatore Domiziano nel 95 d.C.. Ora restano solo le rovine di un castello opera del vescovo longobardo Radiperto che cinse anche di mura il borgo medioevale. Il castello fu eretto su un'arcata superstite dell'antico ponte romano. Il castello sorto sulle rovine del ponte romano sul Volturno Attraversato il piccolo fiume Savone (Safo nella Tabula Peutingeriana), un tempo navigabile e confine meridionale dell’ager Falernus, si giunge all'odierna Mondragone e quindi a Cellole. Fra i due centri la Domitia incontrava la via Appia in prossimità di un'area termale ancora in funzione: qui sorgeva l'importante città di Sinuessa, la Sinope greca, conquistata dai Romani nel 296 a.C. Della prosperosa città famosa per le sue terme, le ville patrizie, per il vino Falerno, non resta quasi nulla (la linea costiera ed il suo porto si trovavano ad oltre un chilometro più a ovest sotto il mare). Solo resti anche di notevole dimensione a profondità anche di dieci metri: un inspiegabile fenomeno di bradisismo assieme alle invasioni barbariche ne hanno quasi cancellato la memoria. Segue: La via Campana da Puteolis a Capuam (in lavorazione) Per approfondire: http://www.archeoflegrei.it/la-storia-del-rione-terra/ http://www.archart.it/pozzuoli-monumenti.html http://www.archeoflegrei.it/dal-quadrivio-via-campana-antica/ http://www.archeoflegrei.it/il-villaggio-di-tripergole/ https://blogcamminarenellastoria.wordpress.com/2017/05/04/pozzuoli-sui-passi-di-san-paolo/ http://www.enea.it/it/seguici/pubblicazioni/pdf-volumi/v2017-sinuessa.pdf https://it.wikipedia.org/wiki/Sinuessa |
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Settembre 2018, Dario Monti |