1810-1839: I VIAGGI DEL CONTE GIORGIO GALLESIO, BOTANICO
Lombardo-Veneto in carrozza al tempo di Radetzky
da: www.ilmonferrato.info
All’epoca
del feldmaresciallo Radetzky, il Lombardo Veneto non era solo un covo
di patrioti pronti a morire per l’unità d’Italia ma anche un
verdeggiante giardino fiorito che attirava l’attenzione di botanici
e naturalisti. Così lo descrisse il conte Giorgio Gallesio
(Finalborgo
1772 - Firenze 1839), originale figura di scienziato che
diede un
decisivo contributo alla conoscenza della frutticoltura scrivendo a
dispense la Pomona
Italiana, il
primo e più importante trattato sulle varietà da frutta.
Per circa trent’anni, dal 1810 al 1839, il conte percorse la
penisola in lungo e in largo per descriverne il patrimonio arboricolo
e annotò le sue osservazioni nei Giornali
dei Viaggi classificando
le
caratteristiche dei frutti e tratteggiando minutamente
città,
strade, campagne, paesaggi, persone, commerci, usi e costumi della
popolazione. I suoi scritti sono tuttora una preziosa testimonianza
storica della sistemazione dei terreni, delle bonifiche, degli
allevamenti zootecnici, delle tecnologie enologiche e olearie allora
in auge.
I due volumi conservati all'Istituto Tecnico Agrario di Firenze
LITORANEA DI PONENTE
Ma
Gallesio non fu solo botanico e naturalista. Tra
le tante attività che svolse (funzionario
pubblico, diplomatico, imprenditore agricolo, diarista,
accademico e gran viaggiatore) sorprende
soprattutto la versatilità politica: andò
a Parigi nel 1810 per le nozze di Napoleone Bonaparte con Maria Luisa
d’Austria in
veste di delegato ligure dell’amministrazione napoleonica
e poi fu abile a riciclarsi nel
governo genovese, accreditato al congresso di Vienna nel 1815 e alla
corte sabauda; dove, in qualità di sottoprefetto e commissario
dei lavori e delle strade si occupò dei problemi della viabilità
ligure realizzando la litoranea di Ponente, il tratto da Finale -
dove aveva importanti proprietà agricole - al Colle di San Giacomo,
la strada di Stella, di Albisola, di Sassello e, nel 1811, la
carrozzabile di Calizzano (dove possedeva altri terreni) per
assicurare i collegamenti tra Finale e il Piemonte. Noblesse
oblige, tra un ricevimento alla corte del granduca di Toscana e un
banchetto a Napoli in onore della regina, il conte trovava il tempo
per coltivare la sua passione, la frutticoltura, spostandosi da un
capo all’altro dell’Italia e ovunque riempiendo i diari di
annotazioni scientifiche e di considerazioni sociali.
NOTTE IN DILIGENZA Utilizzava le serre della Villa dell'Aquila a Finalborgo, di sua proprietà, per condurre le sperimentazioni che gli consentivano di studiare la riproduzione vegetale, di stabilire criteri innovativi applicati agli agrumi, ai fichi, all'olivo e alla vite; e nei Giornali dei Viaggi - pubblicati nel 1995 dall’Accademia dei Georgofili di Firenze a cura di Enrico Baldini - raccontò le faticose trasferte e i tanti disagi cui si sottoponeva in quei tempi pionieristici: lunghi spostamenti in carrozza o in diligenza postale su strade solitarie insidiate dai briganti, un’intera notte per valicare l’Appennino e coprire con nove “poste” il tratto Bologna-Firenze; e ben sette giorni per raggiungere poi Roma passando per Montevarchi, Arezzo, Perugia, Foligno, Spoleto, Terni, Otricoli e Civita Castellana. Nel 1821 girò il Lombardo Veneto censendo le varietà di frutta da Pavia a Milano, da Gallarate a Stresa, da Como a Bergamo e fino a Brescia, Verona, Padova e Venezia. Tra il 23 e il 25 settembre sostò nelle Isole Borromee e a Varese, di cui lo colpirono “le belle ville che sembrano quadri” e la qualità di pesche che crescevano sulle rive del lago. Il paesaggio dovette apparirgli un piccolo Eden: “Tutto questo paese – scrisse – è coperto di casini circondati da giardini, boschetti, vigne, frutteti e la campagna che li divide è coperta di vigne e di campi coperti di verdura, erba di miglio, granoturco e altro, tutto molto verdeggiante e pittoresco”
Le isole Borromee: http://archiviolagomaggiorevaresotto.blogspot.it/
FICHI “INGANNAVILLANI” Il conte prosegue con aria trasognata: “Ho mangiato a Varese delle pesche che vi portano i contadini che sono alle rive del lago. Sono di due specie e pesano da dieci a dodici once. Ne ho mangiate di gialle come le cotogne estive, anch’esse saporite e piene di sugo. Mi sono costate sedici soldi la libra e ne ho conservati i noccioli per seminare”.
Di
terra in terra, vede susine di razze francesi, mele e pere delle
specie burè grigia e bianca, sangermana, martinsecco, buoncristiana
invernale e, negli eleganti frutteti delle ville, varietà francesi
provenienti da Chambery. Osserva tre tipi di ciliegie - amarene,
visciole piccole e le rare visciolone - colte da alberi piantati tra
le viti. Era abbondante, a quei tempi, la produzione di fichi che
oggi è ridimensionata. Lo studioso ha modo di notare i fichi verdoni
o “ingannavillani”
che i contadini locali chiamavano sanguinelli,
fichi genovesi o della gotta, chiamati in loco baratini
e i bianchetti
di Milano, noti
come moscatelli.
Di Bellagio elenca cinque varietà d’ulivo e nota che “tutte le ville del lago hanno i loro frutteti di data antica ma negletti”. Il 4 ottobre 1821 capita a Milano il giorno in cui c’è il mercato dei fiori e scrive: “Una gran contrada è piena di vasi e di piantine e un immenso concorso di persone la riempie all’ogetto di vedere lo spettacolo e di provedersi di queste piante”. BARCHE CARICHE DI MELE A Brescia descrive le pere autunnali “di una grossezza mezzana, cipolliforme e di una gran bontà” e ammira i contorni della città “pieni di mandorli che si vedono negli orti e in tutte le colline vicine su alberi giganteschi, rari a vedersi da noi”. Di Verona censisce le uve da tavola: “… la garganega che somiglia al nostro Rossese, il zibibbo, l’uva da composta simile al pergolone di Roma, il marzemino che fa buon vino ma è stimato da tavola, il trebbiano, il moscatello bianco e nero, la bigolona o passeretta”.
Dopo una breve sosta a San Bonifacio, ospite dell’amico conte Rizzo che lo accompagna a visitare i campi fruttati di Soave, il conte riparte per Vicenza e Padova e arriva infine a Venezia dove rinnova vecchie amicizie e ne attiva di nuove, distribuisce ai librai le prime dispense già stampate della Pomona Italiana e si provvede di numerose lettere di presentazione per le future tappe del viaggio; che proseguirà per Rovigo “costeggiando i monti Euganei e incontrando sovente belle case di campagna” e per Ferrara, lungo il Po, sulla cui riva scorge “vicino alla dogana austriaca e in faccia alla dogana pontificia, una grossa barca carica di mele durelle che portavano a Bari, nel Regno di Napoli”. Piazza Masaniello a Napoli: www.faregliitaliani.it
Ottobre 2015, Sergio
Redaelli
|