Il
Monte Bianco nel primo diario di ascensione al femminile
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La
sfida, non solo alla montagna, di una donna colta ed indipendente
dell'Ottocento
Quando,
nell'estate del 1838, Henriette d'Angeville decise di scalare il
Monte Bianco, tutti i suoi familiari e conoscenti tentarono di
dissuaderla da un'impresa tanto stravagante ed inopportuna. Un
sentimento di disapprovazione misto a riprovazione verso questa
nobildonna francese colta ed indipendente si diffuse rapidamente in
tutti i salotti di Ginevra, città in cui Henriette risiedeva.
“Dobbiamo
impedirle di attuare una tale follia”
si sentiva continuamente vociferare ma, a fine agosto del 1838, la
decisione era ormai stata presa.
Henriette
aveva 44 anni, 5 mesi e 24 giorni, come lei stessa volle precisare
replicando al Journal des Demoiselles che l'aveva chiamata ”una
giovane francese”,
e si sentiva pronta per affrontare il Monte Bianco dopo essersi
misurata con altre impegnative ascensioni. Da dieci anni coltivava
quest'idea che si trasformò in progetto reale un mese prima della
partenza, in occasione di un suo soggiorno a Chamonix. In quindici
giorni preparò la spedizione senza lasciare nulla al caso. Con cura
e meticolosità si occupò degli abiti più adatti da indossare,
scelse guide e portatori, organizzò il carico di viveri e
vettovaglie necessari compresa una gabbia con un piccione viaggiatore
che, una volta raggiunta la cima, avrebbe portato la notizia
immediatamente a valle.
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Heriette
d'Angeville partì da Chamonix con sei guide, sei portatori ed un
mulattiere, i sacchi carichi delle provviste necessarie per tre
giorni di cammino, l'attrezzatura completa per il doppio bivacco ai
Grands Mulets, gli abiti di cambio e le “piccole comodità di cui i
viaggiatori solitamente si muniscono”.
Curiosa
la lista delle vivande, quella dell'abbigliamento personale e degli
oggetti utili tra i quali Henriette elenca due diversi tipi di
ventaglio, un cannocchiale, due fiaschette colme di latte di mandorle
e limonata, un piccolo specchio, un inevitabile taccuino per prendere
appunti con mezza dozzina di penne appuntite.
Nonostante
le terrificanti profezie che le venivano preannunciate e l'esiguo
numero di sostenitori, (cinque in totale, secondo l'autrice),
Henriette riuscì a portare a termine con successo la sua impresa.
Anche
i più scettici furono costretti a riconoscerne il valore seppur non
sottacendo uno spiccato maschilismo. “Il
nostro orgoglioso Monte Bianco deve sentirsi umiliato come non mai.
Martedì 4 settembre, all'una e venticinque minuti, ha visto la sua
cima calpestata da un piede
femminile.
Colei che ha compiuto questa impresa inaudita negli annali del suo
sesso è una francese”
scriveva l'11 settembre 1838 il Federal di Ginevra.
Al
suo ritorno dalla scalata gli ammiratori si moltiplicarono e
l'impresa folle si tramutò in “eroica
passeggiata”
che meritava di essere diffusa con un resoconto pubblico.
Ma
l'idea di documentare l'ascensione era proprio uno degli obiettivi
principali dell'impresa di Henriette; nessuna donna, fino ad allora,
aveva raccontato una simile esperienza. Durante la spedizione ella
aveva annotato giornalmente su un taccuino, il Carnet vert, i
dettagli dell'ascensione.
La
partenza della carovana da Chamonix, la cena ed il bivacco ai Grands
Mulets, la fatica dell'ascensione superando seracchi e passaggi
pericolosi, l'arrivo al Gran Plateau ed il cammino al Corridor, la
scalata dal Muro di ghiaccio alla vetta, il ritorno al luogo di
partenza.
Un
vero e proprio diario di viaggio raccontato con grande sensibilità
ed abilità di scrittura che ci restituisce un resoconto preciso ed
autentico dell'impresa.
Ma
Henriette non si accontentò dei suoi appunti. Rientrata a Ginevra si
rivolse ai migliori pittori della città per illustrare il suo
taccuino con pastelli, chine ed acquerelli. Si dedicò quindi alle
rielaborazione delle sue annotazioni sino a redigerne un testo
definitivo che, unitamente alle pregevoli illustrazioni, propose ad
un editore di Parigi per la pubblicazione. L'accordo editoriale,
però, non andò in porto e l'autrice, delusa, decise allora di
conservare la sua opera per sé e per i suoi famigliari.
Il
suo prezioso diario riemerse solo nel 1986 quando, in occasione del
bicentenario della conquista del Monte Bianco, una pronipote lo
affidò allo scrittore e alpinista Roger Frison-Roche che lo presentò
all'editore Arthaud. Dopo tanti anni di oblio, il volume fu
pubblicato in Francia nel 1987 ma senza illustrazioni. Poco dopo fu
tradotto in Italia nelle edizioni Vivalda che lo ristamparono
successivamente in un'edizione fedele al manoscritto originale ed
illustrata con il maggior numero di tavole mai riprodotte ( Henriette
d'Angeville, La mia scalata al Monte Bianco,
Vivalda,
Torino, 2000).
Dopo
quasi due secoli, finalmente, Henriette ha visto realizzarsi il suo
sogno.
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