A
metà Ottocento, tra le Alpi che circondano il Verbano, al Mottarone
veniva riconosciuto un posto di primo piano. Nella guida di Luigi
Boniforti “Il
Lago Maggiore e i suoi dintorniӏ
nominato come Monterone, una montagna di indubbia bellezza celebrata
soprattutto per la vastità del panorama che si può godere dalla sua
cima posta a 1492 metri di altitudine.
“Dalla
vetta ardua e ronchiosa
(aggettivi di dantesca memoria) s'ha
innanzi tutto il panorama di quella sterminata catena di alpini
gioghi che dal Monte Rosa continua sino all'Ortler nel Tirolo, una
delle più estese vedute delle Alpi meridionali”.
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Boniforti
annota con precisione tutte le cime che si possono scorgere in una
giornata tersa spaziando dal Monte Moro al Sempione, dal Gottardo
alla lunga catena di ghiacciai che dividono la Val Bregaglia dalla
Valtellina.
Verso
mezzogiorno la vista abbraccia la pianura lombarda e del Basso
Piemonte, le guglie di Milano, fiumi, colli e ben sei laghi: Orta
impreziosito dall'isola di San Giulio, Maggiore con l'isola Madre,
Monate, Comabbio, Biandronno e Varese.
Un
panorama così superbo da non aver nulla da invidiare al tanto
celebrato Righi sul Lago dei Quattro Cantoni, se non anzi, per
testimonianza degli stessi stranieri, da superarlo.
Perché,
allora, si chiede l'autore della guida interpretando il pensiero di
molti contemporanei, non è visitato e disegnato dagli artisti quanto il
Righi in Svizzera? Perché nessun industriale dell'epoca pensa di
costruirvi un confortevole alloggio?
“Resterebbe
a desiderare che si mettesse a maggior profitto la bellezza e
opportunità del luogo, l'eccellenza del clima, la ristoratrice
salubrità dell'aere, con aprirvi, a cagione d'esempio, un qualche
pubblico albergo, come di frequente si vede in men propizi luoghi
della Svizzera”.
L'auspicio è sostenuto anche dalle parole di Rousseau, convinto
assertore dell'utilità dei bagni di aria salubre e benefica delle
montagne come uno dei grandi rimedi della medicina e della morale.
Il
paragone tra Mottarone e Righi ritorna anche nella guida Baedeker del
1869: “la
vue du sommet du Mottarone... est comparable à celle du Righi” . E
in altri scritti che lo definiscono il “Righi italiano”.
Nel
1874 anche la sezione Verbano del Club Alpino Italiano segnalò la
mancanza di un “ricovero”sulla
cima del Mottarone: l'appello fu
raccolto da Alessandro Guglielmina che fece costruire, in prossimità
della vetta, il “Grande Allbergo Mottarone” inaugurato il 15
giugno 1884.
Grande
Albergo Mottarone
L'assenza
di un' adeguata struttura per l'ospitalità sul Mottarone costituì,
fino agli ultimi decenni dell'Ottocento, un disincentivo per lo
sviluppo del turismo. Nel 1874 anche la sezione Verbano del Club
Alpino Italiano evidenziò l'annoso problema. L'appello fu raccolto
da Alessandro Guglielmina appartenente ad una famiglia di albergatori
della Valsesia che, con l'appoggio di Orazio Spanna (presidente del
C.A.I. nel 1884) decise di costruire un albergo in prossimità della
vetta del Mottarone. Inaugurato il 15 giugno 1884 il Grande Albergo
Guglielmina si presentava come un elegante edificio composto da tre
piani, una panoramica sala da pranzo, sale di lettura, conversazione,
biliardo. Ad ogni piano dieci camere con diciotto letti mentre nel
seminterrato erano collocate la cucina e le dispense. Non si trattava
di un semplice rifugio ma di un hotel di lusso che ospitò anche la
regina Margherita e i figli di Amedeo di Savoia.
Nel
1911, con la costruzione della ferrovia elettrica Stresa- Mottarone,
l'albergo fu ampliato dai fratelli Guglielmo e Ulderico Guglielmina
così da raggiungere una capienza di ottanta letti. La struttura
disponeva di svariati spazi per praticare il tennis, il pattinaggio,
il bob in inverno. Un servizio di carrozze, nella stagione estiva,
trasportava i clienti dalla stazione di arrivo del treno all'albergo.
I servizi postali giornalieri erano garantiti così come i
collegamenti telefonici con Gignese e il Caffè Bolongaro, di fronte
al porto di Stresa. In una pubblicità dell'albergo, il luogo era
raccomandatissimo per il soggiorno e per la possibilità della “Cura
lattea con docce”. La pensione costava da 7 a 8 lire con un
servizio di prim'ordine. Tra le caratteristiche dell'hotel venivano
segnalati un ampio piazzale ombreggiato, la stazione meteorologica e
la camera oscura.
Nel
1930 ai Guglielmina subentrarono i fratelli Cerutti: l'albergo fu
ampliato su progetto dell'architetto Portaluppi per accogliere oltre
150 ospiti.
Il
“Grande Albergo Mottarone” andò completamente distrutto da un
violento incendio il 17 gennaio 1943. La tragedia avvenne di notte,
durante una serata danzante: perirono nove persone e si contarono
numerosi feriti. Tutti gli interni in legno andarono distrutti.
L'albergo non venne più ricostruito.
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Ciò
che a fine Ottocento, però, veniva messo in evidenza come elemento
penalizzante per la montagna piemontese era la scarsità di
collegamenti con i centri lacustri più visitati dai turisti italiani
e stranieri: Stresa, Baveno e Orta.
La
strada Orta, Armeno, Mottarone permetteva la salita dei carretti che
trasportavano il legname e i prodotti degli alpeggi. All'Alpe Volpe
era stata istituita una sorta di “pastorizia-
modello con dissodamento di terre e allevamento di più specie di
estranei volatili e ruminanti”.
Lambendo
la chiesetta di Luciago e il rifugio Curton, la via saliva
serpeggiando sino al luogo detto dei “Tre Termini” da cui, in
breve tempo,si raggiungeva la sommità della montagna. Un tavolato di
legno posto sulla cima fungeva da stazione trigonometrica e
telegrafica.
Da
Omegna partiva la strada dei Tre Alberi che, superate le cascine
Comoli - Lapidari a Crusinallo, permetteva di raggiungere la vetta
dopo tre faticose ore di ripida salita.
Salita al Mottarone, Aple Curtano
Da
Baveno il tracciato Someraro, Levo, Alpe Giardino, cappella di S.
Eurosia richiedeva quasi quattro ore di cammino pedestre o su
cavalcatura con un percorso paragonabile per difficoltà e lunghezza
a quello che partiva da Stresa e toccava la località di Alpino.
La
gita, che incominciava ad essere frequentata specie dagli inglesi,
era ritenuta piacevole. Impiegando lo stesso tempo si poteva
affrontare la discesa sulle rive del lago d'Orta passando per Coiro,
Armeno e Miasino. Il consiglio era, però, di procacciarsi una guida
al costo di 4 franchi e anche un po' di commestibile benché si
potesse trovare latte, formaggio, farina di mais dai mandriani e
miglior ristoro in una piccola osteria.
Sicuro
è che la salita alla montagna richiedeva una certa dose di
allenamento se nel 1892 si scriveva “se
avete le gambe buone non rinunciate ad un'escursione sul Mottarone”.
Negli
ultimi decenni dell'Ottocento da più parti si auspicava la
realizzazione di una funivia funicolare che rendesse l'accesso al
Mottarone più facile e comodo.
Il
giornale
Prealpino di
Arona diede vita anche ad una sottoscrizione per reperire i capitali
necessari alla costruzione della ferrovia che, non solo avrebbe
facilitato l'arrivo dei turisti, ma anche migliorato i collegamenti
con Stresa.
Il
progetto allora non andò in porto; si dovrà attendere il nuovo
secolo per la progettazione e realizzazione della ferrovia elettrica
Stresa- Mottarone con un trenino a cremagliera.
Per saperne di più:
Panorama dal Mottarone | Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola
La
ferrovia elettrica Stresa- Mottarone, Andrea Lazzarini editore