Da “Segrete voluttà – Peccati
di gola (e non solo) nella Roma dei Papi”, di Sergio Redaelli e Guido
Montaldo, Ugo Mursia Editore, Milano 2023, www.mursia.com
Il 23 marzo 1538 papa Paolo III Farnese intraprese un viaggio a Nizza per concordare una tregua di dieci anni tra l’imperatore asburgico Carlo V e il re di Francia Francesco I, in guerra tra loro, e ottenere l’unità delle forze cattoliche contro i turchi. Un compito improbo, tenuto conto che pochi mesi prima Francesco I e Solimano il Magnifico avevano siglato “l’empia alleanza” franco-turca. Partendo da Roma con un folto seguito di vescovi, baroni e familiari, il pontefice incaricò il bottigliere di fiducia Sante Lancerio di prender nota delle vigne di proprietà della Chiesa e ad ogni sosta, per ogni pranzo, per ogni cena e spuntino consumati dalla comitiva papale, di tener conto dei vini assaggiati, delle tecniche di produzione e delle consuetudini di coltivazione nelle diverse regioni d’Italia.
Strada facendo, il bottigliere annota a Ronciglione (rocca di proprietà Farnese dal 1526) che il cardinale di casa Pucci “fece un bellissimo preparamento di vini e di tutte le cose necessarie, come anche di buone lamprede, essendo tempo di Quaresima” (la lampreda d’acqua dolce o salata è simile all’anguilla). Il viaggio proseguì (lungo la via Francigena) a Viterbo, Montefiascone, Bolsena, Acquapendente e Montepulciano, dove per ordine di Cosimo de’ Medici il papa fu ossequiato con tutti i riguardi. Evitando di passare per la ostile Siena, Paolo III riprese la via per Monte Oliveto, Castelnuovo, Poggibonsi, Castelfiorentino, Fucecchio, Lucca e, passata Pietrasanta, si fermò a pranzo a Massa dalla famiglia Cybo che conoscendo il punto debole dell’ospite “fece gran carezze a Sua Beatitudine di buoni vini”.
A Sarzana il vescovo Puliasca mise in tavola “ciambelle et pane papalino di Roma et si fece honore” e nel castello di Lerici il conte Pietro Maria Rossi imbandì un banchetto di trote e carpioni, innaffiato con ottima Vernaccia delle Cinqueterre, antenata dei prelibati bianchi liguri che si gustano oggi. Quindi il goloso ospite si diresse verso il passo della Cisa attraverso Pontremoli, Berceto e Fornovo non mancando di degustare i vini della Lunigiana, ospite del feudatario di turno.
Di qui il corteo raggiunse Parma, Busseto, Castell’Arquato dove si produceva il vinsanto e Piacenza. Si spostò a Castel San Giovanni in Val Tidone e nella rocca di Montalino, all’imbocco dell’Oltrepò Pavese, un imponente maniero con una trentina di stanze e un vasto parco con orti e filari di viti, già noto ai tempi del Barbarossa “per li boni licor de’ suoi vigneti”. Il castello apparteneva da secoli ai vescovi pavesi che lo avevano trasformato in una lussuosa residenza per gli esercizi spirituali e le delizie del palato. Il canonico pavese Opicino De Canistris, scrivano ad Avignone, aveva composto nel 1327 un opuscolo lodandone i vini e papa Farnese si fermò volentieri a cena, ospite del vescovo, assaggiando i precursori dei moderni barbera e croatina pavesi. Per nulla sazio, il papa raggiunse Voghera e Tortona, dove il vescovo Gambara preparò un banchetto “di buoni vini et altre cose, massime di capponi et ottimi formaggi”. Il viaggio era ancora lungo e richiedeva frequenti soste per rifocillarsi. Da Tortona il pontefice si spostò ad Alessandria e poi a Savona, s’imbarcò finalmente con il seguito sulle galere del doge di Genova e navigò fino ad Albenga, quindi a Monaco e con una rapida “velata” giunse a Nizza dove non volle toccare vino perché in quella città “gli uomini non sono buoni e fanno li vini meno buoni di loro”. Le navi di Andrea Doria A Portofino l’assetato successore di Pietro assaporò i nettari liguri, pranzò a Sestri Levante e giunse infine alla Spezia, ritemprandosi con “ottimi et perfetti vini, tanto rossi che bianchi”. Rientrò a Roma il 24 luglio per mare, quattro mesi dopo la partenza. Indotti i reali contendenti a miti consigli, Paolo III non rimase con le mani in mano e, dopo un nuovo incontro con Carlo V a Lucca nel 1541, ne ebbe un secondo nel 1543 a Busseto, vicino a Parma, per puntellare la vacillante tregua. Sulla via del ritorno fece il giro largo per la Romagna e il fedele Lancerio non scordò di aggiornare i diari. Il bottigliere ebbe l’accortezza di spedirli al cardinale Guido Ascanio Sforza, nipote di Paolo III, con una lunga lettera di accompagnamento per “dare cognizione e diletto a Vostra Signoria Reverendissima delle qualità dei vini e delle bevande che alla felice memoria di Sua Santità Paolo III, avolo suo e mio patrone e benefattore, piacevano, con narrare anco la patria donde vengono all’alma Roma e li siti dove nascono, et il modo per conoscere la loro bontà”. Elenco dei vitigni coltivati in Toscana nel 1500 Nella lettera Lancerio aggiunge altre notizie: valuta l’aspetto esteriore, i profumi, i sapori (talvolta rovinati da acidi e muffe) e il retrogusto dei singoli prodotti. Indaga la qualità dei terreni e le tecniche di produzione. Cita lo zolfo, il cipresso, la canella, i garofani, il sambuco e altri “additivi” usati all’epoca. Fornisce la gradazione alcolica, la durata, l’attitudine al trasporto e l’idoneità ad accompagnare le vivande secondo le stagioni e le ore del giorno. Grazie ai diari, scoperti a metà ‘800 nella biblioteca Ariostea di Ferrara che li aveva conservati, oggi abbiamo l’incunabolo della letteratura enologica italiana, la prima moderna mappatura delle cantine d’Italia e il primo trattato di sommellerie. |
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Gennaio
2024 - Sergio Redaelli |