SULLE STRADE DEL MEDIOEVO: La Via Francigena e la Lombardia

 

Tutte le strade portano a Roma.... ma, fra tutte, la strada per eccellenza, fu la via Francigena, la più famosa strada italiana del Medioevo ancora oggi per lunghi tratti ben riconoscibile e percorribile.

Denominata Francigena o "Francesca", letteralmente "strada originata dalla Francia" (nell'accezione medioevale si intendeva indicare oltre alla Francia attuale il territorio che si estende lungo l'asse renano sino ai Paesi Bassi) essa costituì', nel Medioevo, la direttrice privilegiata per mettere in comunicazione le città del regno italico con il mondo d'oltralpe.

In origine fu la longobarda "Via di Monte Bardone", Mons Longobardorum da cui il nome che passò ad indicare gran parte dell'Appennino tosco-emiliano oltre che l'omonimo Passo, corrispondente all'attuale Cisa.

La strada nacque dall'esigenza dei Longobardi di collegare Pavia, capitale del loro regno, con i ducati meridionali di Benevento e Cassino attraverso un corridoio interno che fosse protetto da eventuali attacchi bizantini, padroni del litorale toscano, delle coste liguri, dell'Umbria e degli sbocchi appenninici orientali.

Da Pavia, attraverso il Passo di Monte Bardone (l'attuale Cisa), la strada raggiungeva Lucca ed il Volto Santo, percorreva la Val d'Elsa sino a Siena, attraversava le vallate dell'Arbia, dell'Orcia e del Paglia, toccava Acquapendente (S.Sepolcro), Bolsena (S.Cristina) per poi immettersi sull'antico tracciato della Via Cassia e giungere a Roma.

Quando alla dominazione longobarda si sostituì' quella dei Franchi, la strada assunse la denominazione di Francigena e, vista l'importanza del collegamento con Roma per il Sacro Romano Impero, fu oggetto di particolari cure da parte dell'amministrazione Carolingia.

Oggi, attraverso i diari di viaggio e le "guide" per i pellegrini oltre che un'attenta lettura dei segni presenti sul territorio, siamo in grado di ricostruire in modo abbastanza preciso e dettagliato il tracciato di questa strada.

Nel 990 l'arcivescovo Sigeric partì da Canterbury alla volta di Roma per ricevere il "pallium". Dal IX secolo infatti, era stato introdotto l'obbligo per l'universalità degli arcivescovi metropolitani di venire a Roma per ricevere direttamente dal papa il pallium, una semplice veste di lana ornata con la croce che simboleggiava una sorta di vera e propria investitura. Nel corso del suo viaggio di ritorno, SIgeric scrisse un diario di viaggio che oggi ci permette di ricostruire il percorso della Via Francigena nel X secolo.

Egli registra con precisione nel suo scritto le ottanta "submansiones" cioè le tappe di sosta comprese tra Roma e il Canale della Manica.

Guardando una carta dell'Europa possiamo seguire punto per punto i luoghi inydicati, da Viterbo a Siena, da Lucca al Passo della Cisa, da Piacenza a Pavia. In quest'ultima città la Francigena si biforcava seguendo due tracciati in direzione delle Alpi: uno verso Ovest per raggiungere i Passi del Moncenisio e del Monginevro, l'altro più spostato a Nord-Ovest per avvicinarsi al Passo del Gran S.Bernardo.

Interessante il pieghevole che si può scaricare sul sito Itinerari culturali svizzeri riguardante il tratto della via Francigena attraverso il passo del Gran San Bernardo.

Sigeric, raggiunte Ivrea ed Aosta utilizzando il percorso della strada romana , attraversò le Alpi valicando il Gran San Bernardo ove sorgeva un importante ospizio che accoglieva i viandanti sin dall'epoca Carolingia. Raggiunse Losanna, Besancon e, dopo aver percorso la fiorente Champagne, regione particolarmente rinomata per le sue fiere, toccò Reims ed infine Calais, dopo circa ottanta giorni di viaggio.

L'attraversamento del passo del Gran San Bernardo è attestato anche dall'itinerario compiuto da Nikulas di Munkathvera, un monaco islandese che, tra il 1151 ed il 1154, intraprese un lungo cammino che lo condusse dapprima a Roma e poi in Terrasanta.

Scelse invece la via di Torino, della Valle di Susa e il Passo del Moncenisio, Re Filippo Augusto II , di ritorno dalla Terza Crociata nell'anno 1191.

Dalla fine del XII secolo le fonti itinerarie attestano sensibili modificazioni del tracciato della Francigena e ne documentano la sua progressiva ramificazione. Più che di una singola strada possiamo più verosimilmente riferirci ad un "fascio di strade " che correvano parallele o si intersecavano con il percorso originario.

La grande fioritura e l'ampliamento dei traffici commerciali del Duecento favorirono infatti l'affermarsi di itinerari alternativi che spesso si sostituirono, almeno in parte, a quello della Francigena. E' il caso per esempio dal ruolo svolto dalla città di Firenze che sposterà l'asse delle comunicazioni con Roma dalla Valle dell'Elsa a favore del proprio territorio. La direttrice Bologna - Firenze - Siena - Roma negli ultimi secoli del Medioevo, continuerà ad essere denominata "Romea" o "strada regia romana ", segno che la destinazione finale, Roma, era divenuta prioritaria rispetto a quella settentrionale. Ma la Francigena o Romea non era solo la strada dei pellegrini Romei : nei numerosi ospizi ed ospedali sorti lungo il cammino, transitavano anche coloro che si dirigevano verso la Terrasanta e Santiago di Compostella.

 

Sigillo papale con S PAolus e

L'arcivescovo inglese Sigeric nel 990, di ritorno da Roma verso Canterbury , annotò con minuzia tutte le tappe del suo viaggio: per noi il suo dettagliato diario di viaggio è una preziosa guida se desideriamo seguire le sue tracce fra il Piemonte e l'Emilia.

Abbiamo incontrato la Via Francigena a Vercelli, la "Vercel" di Sigeric , XLIII tappa del suo viaggio di ritorno. Molti di coloro che giungevano in questo antico municipio romano costituitosi in Comune nel XII secolo, attraversavano le Alpi superando il Passo del Moncenisio, del Monginevro oppure quello del Gran S. Bernardo. I primi percorrevano la Valle di Susa, toccando città importanti come Susa e Torino; gli altri sostavano ad Aosta quindi raggiungevano Ivrea e Vercelli seguendo il percorso dell'antica strada romana.

A Vercelli, le numerose torri che caratterizzano il centro storico attestano la potenza esercitata da questa città in età comunale. Le grandi chiese e le testimonianze scultoree testimoniano la sua importanza religiosa , artistica e culturale. Ci soffermiamo ad ammirare la chiesa di S. Andrea dove le innovazioni del gotico francese si combinano con elementi della tradizione padana come la facciata a capanna, l'uso del mattone come materiale da costruzione, le gallerie ad archetti. Nella Cattedrale di Sant'Eusebio (della costruzione romanica si conserva oggi solo il campanile) sono notevoli per importanza gli altorilievi del pergamo dovuti a Benedetto Antelami ed il famoso manoscritto della Biblioteca capitolare detto "Vercelli Book", l'unico manoscritto completo in lingua anglosassone che ci sia giunto, portato probabilmente a Vercelli da un viaggiatore inglese che fece sosta all'ospedale degli Scoti, istituito appositamente per ospitare i viaggiatori provenienti dalle isole britanniche.

Lasciata Vercelli, La Francigena si dirige verso Pavia : a circa tre chilometri dalla città piemontese Palestro è il primo centro lombardo noto ai più per l'omonima battaglia. La chiesa di S. Martino, romanica, ampliata nel XIV secolo e in seguito rimaneggiata nel 1882, è un segnale importante per il nostro cammino. E non è l'unico: attorno al castello, citato già nel 1215, e ubicato su un'altura, si raccoglieva il centro abitato. Oggi sussistono, oltre ad una delle sei torri della fortezza, tracce medioevali nelle vie circostanti, strette e tortuose.

Al Medioevo risale anche la manifestazione più importante del paese: la festa di Pentecoste. Nei tempi passati pare infatti che il castellano, proprio nel giorno della Pentecoste offrisse personalmente ai poveri pane e minestra. Iniziata verso la metà del XII secolo e chiamata Carità di S. Spirito, la festa continuò anche quando l'omonima Confraternita fu abolita. Oggi i nuovi confratelli, annualmente nominati per libera scelta fra gli uomini del paese, provvedono alla raccolta di denaro e viveri e all'organizzazione della celebrazione, che dura due giorni. Il giorno della Pentecoste, dopo la Messa grande, clero, confrari e popolo si recano in processione al castello a benedire come in passato minestra, pane e vino; nel pomeriggio, sulla piazzetta all'ombra della torre, avviene la festosa distribuzione.

Anche nel centro successivo Robbio, forse la romana Retovium, sopravvive un castello ampiamente rimaneggiato nel tempo e oggi trasformato in abitazione privata. Il castello originario, detto dell'Arca, fu il fulcro delle lotte tra Vercelli e Pavia.

Il ponte in muratura di epoca recente sostituisce l'antico ponte levatoio di cui sono visibili le tracce nelle due scanalature longitudinali scavate per le aste e le catene di ferro. Il baluardo più importante del complesso è il maschio quadrangolare posto quasi al portone d'ingresso: La fortificazione, a forma di U, comprendeva anche altre costruzioni come il "dosso del ricetto" che fungeva da ricovero per gli abitanti in caso di estrema difesa, e i quartieri, cioè gli alloggi del piccolo presidio locale in tempo di pace.

Alcune vie del paese, disposte a semicerchio attorno al nucleo antico, conservano nomi di sapore medioevale e talora hanno mantenuto i tipici porticati.

Risalente al XI secolo ma rimaneggiata nel Trecento è la chiesa di S. Valeriano; del XIII secolo la chiesa di S. Pietro in cotto con portale ed affreschi interni del XV secolo; quattrocentesca la chiesa di S. Michele.

Prima di arrivare a Mortara la strada antica doveva transitare per Madonna del Campo in cui sorge l'omonimo santuario. La sua esistenza è attestata, con il nome di S.Maria della Pertica, fin dal 1145; dell'edificio originario, restaurato e rimaneggiato nel XV e in epoca più recente, rimangono le colonne del tiburio e alcuni tratti di muratura. Nella facciata, il portone ed il rosone sono decorati in cotto. L'interno è articolato con otto cappelle ed affreschi del XVI- XVII secolo.

Secondo una leggenda, Mortara venne fondata dopo la vittoria conseguita da Carlomagno contro Desiderio nel 773. Vi si sarebbero insediati i Longobardi abitanti della distrutta cittadina di Pulchra Silvia. Assai più probabile, però, è che Mortara sia di origini protostoriche, divenuta poi forte romano.

La più antica è la chiesa di S. Croce del 1080, rifatta nel XVI secolo. La basilica di S. Lorenzo, patrono di Mortara, è il principale monumento cittadino. Costruita nel 1380 e restaurata nel corso del nostro secolo, conserva opere d'arte del XV e XVI secolo.

A sinistra della facciata che presenta un pregevole portale ogivale incorniciato in cotto, è situata una colonna miliare romana. Il campanile a torre è anteriore alla basilica e, in origine, apparteneva ad una fortificazione.

Lungo la Strada per Pavia, a 1,5 km. da Mortara, sorge l'abbazia di S. Albino, fondata nel IV secolo da Gaudenzio, vescovo di Novara e, ricostruita, sembra, da Carlomagno, dietro consiglio di Alcuino, per farne un mausoleo per i Franchi caduti nella battaglia di Pulchra Silvia. In essa trovarono pace le spoglie di Amelio e Amico, due paladini franchi, venerati poi come santi; i loro loculi sovrapposti furono rinvenuti nel 1929 sotto l'altare.

Il monaco Albino Alkwin, consigliere di Carlo Magno fondò accanto alla chiesa un convento che fu dedicato dai primi monaci, francesi e di regola agostiniana, a Sant'Albino di Angers. Posto sotto la diretta giurisdizione del papa, il monastero godette grande fama nei secoli ed ospitò celebri pellegrini come papa Giovanni VIII, Filippo di Francia, S. Francesco d'Assisi, S. Carlo Borromeo.

Il passaggio dei pellegrini è documentata anche dai segni incisi da vari pellegrini su una parete dell'interno, uno di esso è datato 1100: l'abbazia di S. Albino, infatti, rappresentò nel Medioevo una tappa spirituale per i devoti che si recavano a Roma provenendo dalla Francia.

L'attuale facciata rinascimentale fu costruita dopo il crollo della facciata romanica e della navata avvenute nel 1539; essa è completata è completata da un portico ad un lato del quale è addossato un fabbricato che forse apparteneva all'antico convento di cui rimangono resti del chiostro. Di epoca romanica sono l'abside e il campanile quadrato con muri muniti di feritoie. All'interno della chiesa si conservano pregevoli affreschi del XV e del XVI secolo.

A causa dello stato di avanzato degrado l'abbazia non è però visitabile. E' un vero peccato. S. Albino, così come altri monumenti che incontriamo lungo la strada avrebbero diritto a ben altra sorte.

Il diario del X secolo dell'arcivescovo inglese Sigeric segnala Tromello come tappa di sosta successiva a Vercelli lungo la Via Francigena, la più importante strada di collegamento nel Medioevo tra i territori della Francia e Roma.

Tromello si trova a circa 12 chilometri da Mortara: nel rione chiamato Dosso o Borghetto si trova l'antico nucleo nel quale poteva sorgere l'ospizio di Sigeric. Oggi, l'unica testimonianza di un passato di guerre e di dominazioni straniere, è il "torrione" seicentesco ; del castello non resta nessuna traccia.

Anche se di poco discosto dalla strada che percorriamo, data la sua importanza, è da segnalare la romana Lomello che, per la ricchezza delle sue testimonianze archeologiche ed artistiche, rappresenta una vera e propria sorpresa.

Lomello, l'antica Laumellum è segnalata negli itinerari del IV secolo come una stazione sulla grande via che da Ticinum (Pavia) conduceva per Augusta Taurinorum (Torino) , il Moncenisio nelle Gallie oppure attraverso Vercelli, Ivrea, Aosta e il Passo del Gran S. Bernardo verso i Paesi anglosassoni.

E' citata come "mansio" cioè punto di sosta anche nell'Itinerario Burdigalense, diario scritto da un anonimo pellegrino nel 333 di ritorno dalla Terrasanta.

I sepolcreti, le iscrizioni, la massicciata stradale, un pavimento di stile pompeiano sono le testimonianze più significativi del periodo romano; sono attualmente custoditi nel Municipio sito nel restaurato castello quattrocentesco.

Notevole il complesso della basilica di S.Maria maggiore del XI secolo accanto alla quale sorge l'ottagonale battistero di S.Giovanni ad fontes di epoca altomedioevale.

Romanica, anche se restaurata all'interno nel 1950, è anche la chiesa di S. Michele con abside del XII secolo.

Per recuperare la strada che stiamo percorrendo in direzione di Garlasco, paese successivo a Tromello, vale la pena di attraversare Scaldasole le cui vicende storiche sono strettamente legate a quelle del suo castello , imponente edificio che domina l'abitato. Benché appartenente agli edifici costruiti a scopo difensivo nel XV secolo dai Visconti, l'aspetto è quello di una residenza piuttosto che di un severo maniero.

La sua scoperta - all'interno è custodita una preziosa raccolta di materiali archeologici rinvenuti in Lomellina - non ci fa pentire della deviazione.

Riprendiamo il percorso della Via Francigena a Garlasco.

Del castello, uno dei più importanti della Lomellina, è rimasto solo il torrione, adibito prima a magazzino, poi a carcere e ora in fase di ripristino.

La chiesa parrocchiale, dedicata alla Beata Vergine Assunta e a S. Francesco Saverio, venne edificata sull'area dell'antica chiesa di S.Maria intra Muros di cui rimangono l'abside, la base del campanile ed alcuni affreschi quattrocenteschi. La chiesa attuale sorse nel 1783 e fu completata nel 1931.

A un chilometro dal paese si trova l'edificio religioso più noto perché meta di pellegrinaggi: il Santuario della Madonna della Bozzola, cosi' chiamato perché era circondato da siepi di biancospino, in dialetto "bousslon", da cui il nome di "Bosla".

La tradizione vuole che sia stata eretta sul luogo in cui, nel 1462 la Madonna fosse apparsa ad una bambina muta mentre conduceva il suo gregge a pascolare.

A Groppello Cairoli, paese natale dei fratelli Cairoli, l'antica rocca (il borgo è già citato in documenti del X secolo) subì nel tempo progressive trasformazioni: venne abbellita per diventare un luogo di residenza, di svaghi e di caccia.

Il castello, dall'aspetto massiccio, è formato da due corpi a forma di L; la facciata principale, a lato della quale si erge un torrione, era forse anticamente ornata da una merlatura. Attorno al castello aleggiano ancora dei misteri. Secondo alcuni, all'interno del cortile esiste un passaggio sotterraneo che conduce ad un locale in tufo ove si trova una colonna con un capitello romanico. Sembra che il cunicolo avesse sbocco a valle e fosse utilizzato in epoca risorgimentale.

La parrocchiale di San Giorgio sembra costruita su una chiesa preesistente, lo confermerebbe la scoperta all'interno di alcuni affreschi quattrocenteschi.

Siamo ormai in vista di una delle città più importanti del nostro itinerario: Pavia, l'antica Ticinum.

 

La fortuna di Pavia fu nei secoli, strettamente legata alla sua posizione naturale: si trovava infatti a fungere da importante nodo stradale e, contemporaneamente, ad essere collegata all'Adriatico per via fluviale attraverso il Ticino ed il Po. Con la conquista longobarda divenne una capitale ed il suo nome si tramutò da Ticinum a Papia da cui poi Pavia. I re longobardi vi fondarono chiese e monasteri come Santa Maria Teodote e S. Michele dove, tra gli altri, fu incoronato Federico Barbarossa.

S. Michele, ricostruita completamente nel XIII secolo, ha una facciata a capanna in cui spiccano i rilievi con figure umane e di animali che ornano i tre portali e la parte inferiore del prospetto. All'interno conserva un pregevole crocifisso in lamina d'argento del X secolo. Ugualmente di epoca romanica è S. Pietro in Ciel d'Oro eretta nel 1132 sul sito di una importante basilica longobarda. Custodisce un'arca marmorea che conserva le ossa di S. Agostino, trasferite da Ippona a Cagliari e poi a Pavia nel VIII secolo e la tomba del filosofo pavese del V secolo Boezio. Centro del Regno Italico e sede della corte imperiale fino alla distruzione del palazzo nel 1024, Pavia era la città in cui avvenivano gli incontri politici e i sinodi dei vescovi italiani. Era un centro di smercio internazionale poiché vi confluivano i prodotti che provenivano dall'Oriente tramite Venezia e dal Nord dell'Europa. In città vi erano sedi di numerosi monasteri padani e prealpini, di fondazioni religiose toscane e funzionavano molti ospedali ( tra essi S.Maria dei Bretoni, S. Colombano, S. Bartolomeo ) che ospitavano i pellegrini diretti a Roma.

Nel 963, pochi anni prima del Viaggio di Sigeric, sappiamo che a Pavia si incontrarono tre famosi "santi" in viaggio da o per Roma: Gerardo vescovo di Toul, Adalberto di Praga e Maiolo abate di Cluny. Si racconta che, in quell'occasione beneficarono la città di molti miracoli cosi' come fonte di miracoli. Fonte di prodigi erano anche le numerose reliquie di santi presenti a Pavia: S. Siro, Sant'Agostino, S. Giorgio ed anche un frammento della Santa Croce.

In città, ad indicarci la direzione da seguire in direzione di Roma è la chiesa di S. Pietro in Verzaro in cui restano, nel chiostro, testimonianze di epoca longobarda.

La Francigena segue ora il percorso dell'antica strada romana e corre verso est, parallela al fiume Po. A Belgioioso si impone per la sua mole, il castello visconteo costituito da vari fabbricati di epoche e stili diversi.

A circa tre chilometri a sud-ovest, in direzione del Po si trova la località di S. Giacomo della Cerreta. In questo caso già la toponomastica può fornirci alcuni indizi: ci troviamo nelle vicinanze di una importante strada percorsa da pellegrini che viaggiavano verso Roma o, da sud a nord, verso Santiago di Compostela e, in questa località troviamo un oratorio dedicato a S. Giacomo con annesso ospizio. S. Giacomo, le cui reliquie in Galizia erano meta di pellegrinaggio da ogni parte d'Europa, è rappresentato nei numerosi affreschi quattrocenteschi interni alla chiesa. Sulle pareti della chiesa si susseguono le immagini del santo in veste da pellegrino con il tipico bordone (bastone), la mantellina corta ed il cappello a larghe tese con la conchiglia, simbolo del pellegrinaggio. Il culto per S. Giacomo è ancora molto sentito: la statua lignea del Santo, conservata nella chiesa, è ogni anno in testa alla solenne processione che si celebra il 27 luglio, festa di S. Giacomo.

Attraversato il fiume Olona, si giunge a Corteolona sede della corte regia in età carolingia e successivamente dei re italici. In età altomedioevale la sua importanza fu legata alla presenza del monastero dedicato a Sant'Anastasio, il monaco martirizzato dal re di Persia Cosroe, insieme ad altri 70 cristiani. Oggi, della chiesa originaria fatta erigere dal re longobardo Liutprando, non restano che pochi frammenti conservati nel castello di Pavia.

A Santa Cristina dove Sigeric ci segnala un punto di sosta esisteva una importante abbazia documentata sin dal XI secolo che ospitò personaggi importanti come Corradino di Svevia. Di questa gloriosa abbazia non rimane nulla di visibile; esiste solo un fabbricato chiamato Collegio che reca tracce di fondamenta e murature del '700 e forse di epoche precedenti.

Oggi visitabile, dopo lunghi restauri, é invece il Castello di Chignolo Po i cui possedimenti terrieri vennero donati nel 910 da re Berengario ai monaci benedettini dell'Abbazia di S. Cristina. Questi ultimi dal 910 al 1251 edificarono, all'interno del ricetto fortificato ai piedi della Grande Torre, la "Fattoria Monasteriale".

Essa comprendeva le celle, i magazzini e le officine dei monaci, il fabbricato dei "famuli supersedentes" cioè i coloni vincolati, l'orto dei semplici ovvero il giardino delle erbe aromatiche. Nel 1251 il castello e tutte le sue proprietà, per volere dell'abate di S. Cristina, divennero feudo di Uberto Vignati.

Ampliato ed adibito a funzioni diverse nel corso dei secoli, possono esser visitati oggi (sabato e domenica) la maggior parte dei corpi di fabbrica, il bellissimo parco con il settecentesco Tempio di Cerere, alcuni locali interni abbelliti da ricche decorazioni. La visita di questa piccola "Versailles padana" ci lascia entusiasti.

Poco a nord di Chignolo, è doveroso segnalare anche il Castello di S. Colombano al Lambro, sorto per volere del fondatore del monastero di Bobbio alla fine del VI secolo e ricostruito da Federico Barbarossa nel 1164.

Superato il Lambro nei pressi della località di Lambrinia, passando per Orio Litta, l'antica strada piegava a sud, verso il Po sino a Corte S. Andrea, luogo di sosta citato da Sigeric.

A Corte S. Andrea dove non restano testimonianze di epoca medioevale, si poteva attraversare il Po e raggiungere sull'altra riva, Boscone Cusani e Calendasco in cui resta un poderoso castello.

Incrociando la strada che proveniva da Voghera e Castel S. Giovanni (Via Postumia), si era ormai alle porte di Piacenza.

Oggi non è possibile attraversare il Po a Corte S.Andrea: da S. Cristina si può raggiungere il ponte che conduce a Castel S. Giovanni oppure proseguire lungo la statale 234 e dirigersi verso S. Rocco al Porto dove l'attraversamento del Po ci immette direttamente nella città di Piacenza, tappa finale della Via Emilia romana e del nostro percorso. Siamo di fronte ad una città particolarmente ricca di testimonianze di epoca medioevale: il Duomo, le basiliche di S. Antonino, di S. Savino, Santa Brigida e Santa Eufemia, il Palazzo Comunale solo per nominarne gli esempi più significativi.

La strada per Roma è ancora molto lunga ma vale la pene di essere percorsa. Il viaggio ormai è diventato una ricerca, una scoperta, un'occasione per riflettere ed interrogarci. Perché rinunciare?

Per saperne di più

Caselli La via Romea ed Giunti.

Stopani Guida ai percorsi della via Francigena in Lombardia ed. Le Lettere

T.C.I. La via Francigna

G.Corbellini La Via Francigena Giorgio Mondadori

La Lombardia paese per paese ed. Bonechi

Ottobre 1998  Rosalba Franchi