STRADE DI GUERRA
Agosto 1848, con i legionari di Garibaldi, la campagna di Varese
di Sergio Redaelli

Garibaldi

Partiti da Castelletto Ticino la sera del 13 agosto 1848, Garibaldi e milletrecento volontari raggiunsero con una notte di marcia Arona, sul lago Maggiore, trascinandosi dietro due piccoli cannoni. Arrivarono a destinazione alle prime luci dell’alba del 14 agosto. Da cinque giorni l’armistizio Salasco aveva riportato la pace tra il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia e l’Austria, ma Garibaldi aveva deciso di continuare a combattere da solo. Aveva quarantuno anni ed era rientrato in Italia da poche settimane dopo tredici anni d’esilio in Uruguay: sulla testa la condanna a morte inflittagli dal governo piemontese per aver partecipato ai moti mazziniani nel 1834.

Ad Arona è giorno di mercato e nove barconi a vela sono ormeggiati nel porto. Garibaldi li requisisce insieme ai battelli a vapore San Carlo e Verbano II che fanno servizio postale e trasporto passeggeri sul lago. Fa caricare i pezzi d’artiglieria, 1286 razioni di pane e venti sacchi di riso che gli hanno consegnato in municipio; imbarca la truppa, i cavalli, i materiali e alle tre del pomeriggio riparte. La destinazione è ignota ma non può che essere una località vicina alla Svizzera perché il Generale attende rinforzi da Giuseppe Mazzini.

battello

Battello a vapore da: Archivio iconografico VCO

Alle otto di sera del 14 agosto la piccola flotta approda a Luino. Circa ottocento legionari mettono piede a terra e altri cinquecento restano a bordo. Arriva anche Francesco Daverio, un ingegnere varesino di trentatre anni già sulle barricate di Milano nel marzo del ’48. E’ un uomo abile e coraggioso, una guida affidabile raccomandata dallo stesso Mazzini, che non è riuscito a reclutare i volontari promessi.

Garibaldi deve risolvere un delicato problema strategico: indurre alla sollevazione il Varesotto e possibilmente l’intera Lombardia con pochi legionari male armati di vecchi moschetti. Mancano di tutto. Egli stesso dirà nelle Memorie che assomigliavano “a una carovana di beduini”. Di fronte, invece, ha l’esercito austriaco di oltre ventimila soldati, disciplinato, ben equipaggiato e con trentasei cannoni pronti all’uso.

FUCILATE ALLA BECCACCIA

A Luino Garibaldi prende alloggio alla Beccaccia, una locanda sulla via per Germignaga. E’ una casaforte recintata da siepi e alte cataste di legna, l’ideale per difendersi in caso d’attacco. I volontari alloggiano dentro e sul sagrato della chiesa. Il giorno dopo, la legione s’incammina per Varese sulla polverosa strada di Voldomino. E’ divisa in tre scaglioni che si mettono in marcia uno dopo l’altro.

Occhi nemici spiano la partenza e poiché la guerra è un gioco d’astuzia, una colonna austriaca s’impossessa della Beccaccia non appena l’ultimo garibaldino scompare all’orizzonte. Ora il nemico sbarra un’eventuale ritirata verso il lago e il Generale non può tollerarlo. Manda ordini alla compagnia di coda che sta marciando verso Varese di tornare indietro e attaccare l’albergo alla baionetta, se non bastano i fucili. Lo scontro dura un’ora e lascia sul terreno due morti austriaci e cinque garibaldini, quattordici feriti da una parte e diciassette dall’altra. A dispetto dei numeri, sono gli stranieri ad avere la peggio: abbandonano ventitre prigionieri in mano a Garibaldi e si danno alla fuga.

Luino

Il combattimento di Luino in una cartolina d'epoca

Ora la legione affretta il passo. Attraverso Ghirla e la Valganna si dirige verso Varese. Si muove con circospezione. A Cunardo il Generale scrive un biglietto al capitano Giacomo Medici che ha sguinzagliato nei dintorni per sventare eventuali imboscate. La sera del 18 agosto prende alloggio nella villa Litta a Biumo, un rione di Varese e tiene un discorso sul balcone del municipio. Suscita entusiasmo, la gente applaude ma servono aiuti concreti. Gli austriaci intanto, spaventati dalla sconfitta, si sono ritirati a Olgiate Comasco. Dal quartier generale, il feldmaresciallo Radetzky affida il compito di riportare l’ordine nel Varesotto al secondo corpo d’armata del barone D’Aspre. La brigata Simbschen da Fino Mornasco si mette in marcia verso Varese e le brigate Maurer e Strassoldo convergono da Gallarate e Tradate.

BOTTI DI VINO E FASCI DI FIENO

Garibaldi non può opporsi a una simile forza d’urto. Da Biumo ripiega il 20 agosto sulle alture di Induno, in Valceresio. Acquartiera parte della truppa nel cortile del castello di Frascarolo, parte nelle cascine Cornelia e Orsa immerse nei boschi, sulla strada per Montallegro. I legionari vi restano quattro giorni, dal 20 al 23 agosto e i documenti conservati all’Archivio di Stato di Varese forniscono un interessante spaccato della loro vita quotidiana. Come si comportano con la popolazione civile? Che cosa mangiano e che cosa bevono? Come trascorrono il tempo? Le carte tracciano la cronaca inedita, quasi ora per ora, dei loro movimenti.

Castello MediciFrascaroloOrsa

Il Castello di Frascarolo e le cascine ora nel comune di Induno Olona che ospitarono Garibaldi e la sua truppa nell'agosto del 1848

La truppa ha sete e i cavalli fame. E’ un agosto particolarmente caldo, in paese le cantine si svuotano per dissetare i volontari e lungo la Valganna è un viavai di carri carichi di botti. Anche le scorte del castello, messe a disposizione da donna Carolina Crivelli, incominciano ad assottigliarsi. Il 22 agosto la padrona di casa autorizza la consegna ai legionari di duecento litri di vino e otto fasci di fieno. A Montallegro il commissario Ghione dichiara di aver ricevuto sessanta libbre di fieno per i cavalli che trasportano l’artiglieria della colonna.

Ma Garibaldi dov’è? Se ne sta alla Cascina Orsa sprofondata nei boschi di noci e castagni tra Frascarolo e Montallegro, sulle pendici del monte Monarco che sovrasta Induno. Da lassù firma ordini di ricognizione e mandati di requisizione. Il 23 agosto sottoscrive con puntiglio: “La Comune di Induno vorrà fare la compiacenza di pagare per n. 4 fasci di fieno fornito alla cavalleria della mia Legione, a ragione di lire 8 al fascio, lire 32 milanesi, dico lire trentadue”. Firmato Giuseppe Garibaldi.

ordine

Finalmente arriva il momento di agire. Una colonna austriaca proveniente da Olgiate Comasco con cavalli e artiglieria tenta di tagliare la strada per la Svizzera deviando per Rodero e il capitano Medici la respinge a fucilate nei boschi tra Ligurno e Cantello. Si spara per tre ore, il tempo che serve a Garibaldi per sottrarsi alla morsa nemica e sgusciare dall’incomoda posizione.

LA SPECIALITA’ DEL GENERALE

Ora il rifugio tra i boschi non è più sicuro e Garibaldi imbocca la Valganna per Rancio e Cuvio. Vuole aggirare il Campo dei Fiori per arrivare a Varese cogliendo alle spalle gli avversari che lo stanno cercando sui monti. E’ la sua specialità, la “guerra per bande” che i nemici impareranno presto a temere. Consiste nel farsi inseguire, molestare e stancare l’avversario per poi affrontarlo nelle migliori condizioni, colpirlo e sottrarsi alla reazione più rapidamente possibile. La manovra dura due giorni. Il 25 è a Ternate, il 26 a Gazzada, cinque chilometri a sud di Varese. Il barone D’Aspre lo crede invece a Monate dove fa convergere un’altra brigata da Lecco.

Da quindici giorni Garibaldi prende in giro gli austriaci. Radetzky è furente, ma il cerchio si stringe. La brigata Simbschen raggiunge Malnate con due pezzi d’artiglieria e il comandante viene finalmente a sapere che Garibaldi è a Morazzone. I legionari ci sono arrivati due ore prima, gli avamposti accampati nei pressi del cimitero, gli altri sulla strada principale. Sono stanchi e affamati. Anche il Generale si rifocilla. Lo scontro provoca morti e feriti. Non è una sconfitta, ma neppure una vittoria.

Morazzone

Lo scontro di Morazzone in una cartolina d'epoca

Francesco Daverio guida la ritirata. Conosce bene i dintorni e con un lungo giro per Buguggiate, Capolago, Calcinate del Pesce, Morosolo, Casciago, Velate, Sant’Ambrogio, Bregazzana, Alpe Tedesco, Cavagnano e Borgnana, conduce ciò che resta del piccolo esercito a Casamora, una località isolata tra Porto e Brusimpiano, sul lago di Ceresio, di fronte alla costa svizzera. E’ il 27 agosto. Spossato dalla lunga marcia, il Generale trascorre la notte in una casa colonica tra la montagna e la costa. Una lapide sul muro esterno ricorda il suo passaggio: “Questa casa accolse fuggiasco Giuseppe Garibaldi la notte del 27 agosto 1848 dopo Morazzone”. Nell’aria c’è un “rompete le righe” di cui tutti sono consapevoli. Degli ottocento legionari presenti a Morazzone, soltanto trenta seguono Garibaldi verso la Svizzera, gli altri si sono disciolti strada facendo. Non resta che espatriare. Si è fatto il massimo che si poteva fare. I tempi non sono ancora maturi per liberare l’Italia dagli artigli dell'aquila imperiale.

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Aprile 2016,  Sergio Redaelli