Ahi Pistoia, Pistoia...

Pistoia

Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi
d’incenerarti sì che più non duri,
poi che ‘n mal fare il seme tuo avanzi?

(Inferno XXV, vv 10-12)

Molte sono le invettive che possiamo leggere tra i versi della Commedia dantesca, la maggior parte delle quali rispecchiano lo spirito dei feroci odi municipali che al tempo di Dante interessavano praticamente tutti i comuni della Toscana. Tra la fine del XXIV e l’inizio del XXV canto il Sommo Poeta esterna tutto il suo odio verso Pistoia. Secondo una leggenda questa città, molto vicina a Firenze, era stata fondata dai superstiti dell’esercito di Catilina, notoriamente identificati come briganti e gente di malaffare. Proprio per questo motivo nell’immaginario collettivo medievale i pistoiesi venivano raffigurati come perfidi, imbroglioni, spietati, proprio perché discendenti della stirpe dei catilinari. Non a caso il peccatore più malvagio e meschino dell’intera opera dantesca è un pistoiese:

Vita bestial mi piacque e non umana,
sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana.

(Inferno XXIV, vv 124-126)


Canto XXIV

Canto XXIV - Miniatura dal Codice Egerton

Vanni Fucci, figlio illegittimo del pistoiese Fuccio de’ Lazzari, è il personaggio che pronuncia i versi appena citati. Fu un uomo di indole violenta, protagonista delle lotte civili di Pistoia e condannato dal comune, nel 1295, per omicidi e atti di brigantaggio. Dante lo conobbe personalmente nel 1292, quando entrambi erano al servizio dell’esercito guelfo di Firenze contro Pisa. Vanni Fucci, a causa dei suoi atteggiamenti spesso blasfemi, è considerato il personaggio più negativo dell’intera Commedia; tuttavia, nell’Inferno dantesco non viene punito per i crimini legati alla violenza ma per un furto: ci troviamo, infatti, nella settima bolgia, quella dei ladri. Come dice il peccatore stesso:

In giù son messo tanto perch’io fui
ladro a la sagrestia d’i belli arredi.

(Inferno XXIV, vv 137-138)

Qual è il furto per cui il pistoiese viene punito? Le cronache del 1293 e i vari commentatori della Commedia, anche se spesso discordanti, tendono a dare il nome di Vanni Fucci al ladro che rubò l’oro del preziosissimo altare di San Giacomo, all’interno della cattedrale di Pistoia. L’altare d’i belli arredi, già famoso in epoca medievale per la sua bellezza e preziosità, è conservato ancora oggi nella cattedrale di San Zeno, all’interno della cappella del Crocifisso, e, anche se le decorazioni per la maggior parte non appartengono più al tempo del furto, le lamine in argento a sbalzo che rivestono l’altare ci danno un’idea abbastanza chiara degli arredi originari.

atare di san giacomo
Altare di san Giacomo (ph. Celeste Monti)
san giacomo
Altare di san Giacomo, particolare.

L’altare di San Giacomo fu commissionato nel 1287 dal Generale consiglio del comune e del popolo di Pistoia nel momento in cui San Giacomo Apostolo venne scelto come patrono della città. Per la sua realizzazione, che si protrarrà fino al 1456, dettero il loro contributo i maggiori artigiani e artisti dell’epoca. Il nucleo originale era composto da una tavola argentea raffigurante i dodici Apostoli e così doveva essere quando Vanni Fucci compì il furto. Nel 1316 fu poi aggiunto un nuovo pannello con quindici riquadri che resero l’altare ancora più maestoso. Forse fu proprio a questo punto che la fama dell’altare varcò i confini comunali di Pistoia e i suoi belli arredi iniziarono ad affascinare sempre più persone, tra cui lo stesso Dante. Non a caso sono proprio questi gli anni in cui il Sommo Poeta si trova in esilio e si dedica alla stesura della Commedia. Le fonti storiche non ci dicono con certezza se Dante abbia mai visto personalmente l’altare di San Giacomo ma il suo legame con la città di Pistoia era abbastanza forte; basti pensare a Cino dei Sinibaldi, meglio conosciuto come Cino da Pistoia, grande amico di Dante e anch’egli guelfo bianco condannato alla medesima sorte dell’esilio. Fu un importante legista e poeta, elogiato da Dante stesso tra le pagine del trattato De vulgari eloquentia per essere stato uno dei pochi ad aver riconosciuto l’importanza della scrittura in lingua volgare. A differenza di Dante, egli, nonostante fosse morto da esule, è stato poi sepolto nella sua città natale. La tomba di Cino si trova proprio all’interno del duomo di Pistoia, lungo la navata destra. Entrando dal portone principale, subito balza all’occhio il complesso dei rilievi sulla superficie del sarcofago e le statue che impreziosiscono il monumento funebre e che ritraggono il poeta pistoiese con la mano alzata, nell’atto di far lezione ai suoi scolari disposti attorno a lui.

duomo di Pistoia

Interno del duomo di Pistoia. A sinistra la tomba di Cino da Pistoia (ph. Celeste Monti)

Nonostante la grande amicizia con Cino, la conoscenza di Vanni Fucci e gli apprezzamenti per i belli arredi dell’altare di San Giacomo, secondo il Basserman: “Non più della informazione ch’ebbe Dante del modo tenuto nel furto degli arredi da Vanni Fucci, ci permette la sua amicizia con Cino di trarre conclusioni intorno alla sua presenza in Pistoia. Poiché anche questa relazione può molto ben essere stata stretta fuori della città. Cino, come Vanni Fucci, visse in esilio, e lungi dalla loro patria potè Dante imparare a conoscere molti Pistoiesi”. Non sappiamo con certezza se Dante abbia mai visitato di persona Pistoia, anche se ci piace crederlo, certò è, però, che all’interno della bellissima cattedrale, sia l’altare che il monumento funebre di Cino, siano indiscutibili tracce che rimandano a un’affascinante memoria dantesca.

particolare

Particolare della tomba di Cino da Pistoia (wikimedia)

Agosto  2021, Silvia Ciampi