A Milano ritornano le vie d'acqua

di Stefania Maida


Il dieci giugno, al Palazzo Reale di Milano, è stato presentato lo studio di fattibilità per la riapertura dei navigli cittadini. Lo studio è di una equipe del Politecnico di Milano guidata dal professor Antonello Boato, incaricato dall’amministrazione comunale di valutare l'opera non solo a seguito dell’esito del referendum cittadino del 2011, ma per il crescente ed entusiastico interesse dimostrato dai milanesi, sulla possibilità di riaprire le vie d’acqua. La sera del 10 giugno ha visto una tale adesione, che molti partecipanti sono rimasti fuori dalla sala e il Comune ha annunciato che proporrà altre date per permettere a tutti di assistere alla presentazione del progetto. Perché Milano, molti non lo sanno, è stata una città d’acqua come Parigi, Venezia e Amsterdam almeno fino al 1929, quando sotto il fascismo si decise la copertura di gran parte dei canali che attraversavano il centro cittadino.


La storia dei Navigli Milanesi ha radici lontane, parte nel 1179, con la costruzione di un canale che aveva lo scopo di portare in città l’acqua del Ticino. Questo primo canale era chiamato Ticinello. Si ritiene che l’opera sia stata progettata da Guglielmo da Guintellino, che all’epoca presiedeva alle opere di architettura militare della città, con un primo scopo difensivo, a cui si aggiunsero obbiettivi di approvvigionamento idrico e la funzione d’infrastruttura di trasporto. Ma la vera costruzione dei navigli parte nel 1300, sotto la dominazione dei Visconti, quando Galeazzo II, in aggiunta al Ticinello, fece costruire il canale della Martesana con lo scopo di portare l’acqua dell’Adda al parco del castello di Porta Giovia, l’attuale Castello Sforzesco. Questi primi canali furono incrementati nel 1359 da un altro corso d'acqua, il Naviglietto, che fu ricavato nel 1365 lungo la strada maestra di Binasco. L'obiettivo era quello di irrigare il parco del Castello di Pavia, dove il duca Gian Galeazzo Visconti amava cavalcare.

GIANGALEAZZO VISCONTI

Il 15 marzo del 1386 è una data importante. Gian Galeazzo Visconti pose la prima pietra per la costruzione del Duomo di Milano. I materiali necessari al cantiere della cattedrale arrivavano in centro attraverso il Naviglio e ciò determinò una nuova fase nell’utilizzo dei canali. Nel 1464, Francesco Sforza diede incarico all’ingegnere Bertola da Novate di trasformare la Martesana in naviglio, rendendola navigabile. Dal 1439 al 1475 nel Milanese furono costruiti novanta chilometri di canali, resi percorribili dalla presenza di venticinque conche, una caratteristica che nessuna altra città possedeva. La conca è un vero e proprio monumento idraulico. E' costituita da due portoni, uno a monte e uno a valle, che racchiudono un tratto di canale entro cui sta il dislivello tra il canale di monte e il canale di valle (che può variare da pochi centimetri a diversi metri).


Nella prima conca di Viarenna (l'attuale via Conca del Naviglio) il dislivello da superare, per introdurre le barche alla Cerchia interna dei Navigli era di tre metri. I natanti, provenienti dal Lago Maggiore, carichi di blocchi di marmo, entravano nel laghetto di Sant’Eustorgio (diventato poi il porto dei Navigli cioè la Darsena di Porta Ticinese) e, lasciando l'accesso di monte, entravano nella conca. Una volta all’interno, si chiudevano le porte di monte e si riduceva l’acqua nella conca, facendo abbassare le navi fino al raggiungimento del livello del canale di valle permettendo loro di passare. Nel 1482 Ludovico il Moro chiamò a Milano Leonardo da Vinci e gli affidò il compito di realizzare un sistema che rendesse possibile la navigazione tra il lago di Como e Milano.

LE DIGHE DI LEONARDO

Leonardo, che aveva già progettato un sistema di dighe per risolvere il problema della differenza d'altezza, osservando le conche già esistenti apportò modifiche e miglioramenti come la porta a doppio battente, la giusta angolazione, i gradoni per attutire l’impatto con l’acqua, l’apertura da terra del portello, i legami delle barche alle bitte. Tra il 1506 e il 1513 realizzò l'allacciamento del Naviglio della Martesana alla cerchia interna dei Navigli attraverso due chiuse, in via San Marco e all’Incoronata (ora Brera) collegando l’Adda al Ticino, rendendo possibile l’attraversamento della città sull'acqua con lo sviluppo di ulteriori canali. Si arriva così ai primi anni del Seicento, dopo anni di guerre, pestilenze, carestie e invasioni straniere e, sotto la dominazione spagnola, si ripartì con le opere di ampliamento e mantenimento dei Navigli.


Su interessamento del conte Fuentes, rappresentante del governo spagnolo, vengono preparati progetti per migliorare la navigazione interna, ma a causa della morte del governatore, furono completati solo i lavori di ristrutturazione della Darsena e tutti gli altri progetti, già approvati, non vennero resi esecutivi. Inizia così un lungo periodo di abbandono che ha il suo culmine nel 1630, con lo scoppio della peste di manzoniana memoria. Dovranno passare duecento anni, fino all’epoca napoleonica, perché si ritorni a parlare d’interventi sui Navigli. Napoleone decise di aprire un nuovo canale navigabile da Milano al Po. Il primo tronco da Milano a Rozzano fu inaugurato nel 1809 ma la caduta del Generale bloccò i lavori, che ripresero nel 1816 sotto la dominazione austriaca, con l’allungamento del Naviglio fino alle porte di Pavia. E’ il Naviglio Pavese come lo conosciamo oggi.

IL MANZONI PROTESTA

Sono passati oltre seicento anni dal primo scavo. Il Naviglio Grande ha oggi una lunghezza di quasi cinquanta chilometri, che aggiunti ai centouno degli altri Navigli (Martesana e Pavese) e agli ottantuno dei tratti fluviali navigabili, ne fanno un sistema di 232 chilometri con un volume di traffici considerevole. A Milano venivano trasportate pietre da taglio, sabbia, laterizi, legna, carbone, generi alimentari, metalli e numerose varietà di merci. Tra il 1830 e la fine del secolo, la sola Darsena di Porta Ticinese registrò una media di 8300 barche in entrata e uscita per un movimento complessivo di 350 mila tonnellate all’anno. Degli anni trenta del Novecento, come si diceva sotto il fascismo, è la decisione di ricoprire e chiudere buona parte dei Navigli, soprattutto nell’aerea che viene denominata “cerchia”. Vengono coperti definitivamente i Navigli di via San Marco, Via Francesco Sforza, Via Santa Sofia, Via Fatebenefratelli, Via Pontaccio , Via Conca del Naviglio e Via Gioia. Sul perché di questa decisione ci sono pareri discordanti, secondo alcuni è stata una scelta politica perchè il fascismo voleva dare un segno del suo intervento contribuendo alla modernizzazione della città, chiudendo un’opera che veniva considerata inappropriata ai tempi.


Secondo altri il problema invece è da ricercare nello stato in cui versavano all’epoca i Navigli, utilizzati come fogne a cielo aperto, maleodoranti e piene di topi che nei periodi di secca e caldo rendevano invivibili i dintorni. Anche Alessandro Manzoni si lamentò per lo stato dei Navigli e in un epigramma, antologizzato a cura di Franco Brevini, scrisse: “Del sole il puro raggio/rotto dall’onda impura/sulle vetuste mura/gibigianando va”. Quale che sia stata la motivazione degli amministratori e degli urbanisti, la copertura avvenne nel più assoluto silenzio da parte della cittadinanza e degli intellettuali, poche voci si alzarono per impedirne la chiusura. Tra queste quella di Ettore Modigliani, sovraintendente alle Belle Arti, che durò il tempo della breve udienza concessagli dal podestà di Milano, Giuseppe Capitani D’Arzago. Sparì così un tratto caratteristico di Milano, celebrato anche dalla letteratura, nelle pagine di Stendhal e di Riccardo Bacchelli.

LA CASSINA DE POMM

I tratti rimasti aperti, quelli che vediamo oggi, mantennero il loro funzionamento fino a circa la metà degli anni Settanta del secolo scorso. Occorre ricordare un dato fondamentale per sottolineare l’importanza dei Navigli: la Darsena, nel 1953, era al tredicesimo posto nella classifica dei porti nazionali per il ricevimento di merci, un dato sorprendente considerato che Milano non è sul mare e non è attraversata da grandi fiumi. Già negli anni Sessanta era iniziato il declino dei Navigli come vie di comunicazione e trasporto, con l’avvento dei mezzi gommati non era più conveniente. Il 30 marzo del 1979 l’ultimo barcone ormeggiò alla Darsena scaricando l’ultimo carico di sabbia. Ritorniamo al 10 giugno 2015. Lo studio analizza la riapertura di circa otto chilometri e mezzo, partendo dalla Cassina de’ Pomm alla Darsena, le vie interessate sono San Marco, Gioia, Pontaccio, Fatebenefratelli, Sforza, Santa Sofia e Conca del Naviglio. In particolare lo studio è concentrato su tre punti: Conca del Naviglio, Via Francesco Sforza e Via Gioia, che dovrebbero essere le prime tappe del progetto generale.


E’ stata analizzata la fattibilità degli interventi sotto il profilo architettonico, idraulico, viabilistico trasportistico, idrogeologico e idraulico. Il costo stimato è di circa 406 milioni di euro. Su questo progetto i milanesi potrebbero essere chiamati ad un nuovo referendum, questa volta vincolante per l’amministrazione, e non più solo “esplorativo” come il precedente del 2011. Ora tocca alla politica, che ha gli elementi per avviare tra il 2016 e il 2020 i finanziamenti. Al di là degli studi di fattibilità e dei costi è veramente fattibile e, soprattutto, cosa significherebbe per Milano la riapertura dei Navigli? I contrari al progetto, sostengono che i problemi sono essenzialmente di carattere economico, il "salasso" da sostenere è troppo elevato e invece sarebbe opportuno dirottare le risorse in altri interventi più utili e necessari.

EXPO MILIONARIO

Altre obiezioni sono rivolte all’eventuale impatto sul traffico e la viabilità, che la riapertura della cosiddetta fossa interna comporterebbe, oltre al fatto che i Navigli, allo stato attuale, non sarebbero molto adatti alla navigazione, perché il Naviglio Pavese è ormai utilizzato come canale di irrigazione e quello Grande ha dimensioni che potrebbero creare difficoltà alle barche. Viene anche sottolineato un problema, sempre secondo i contrari, di difficile soluzione. I navigli non furono solo coperti, ma “riempiti” di sabbia e cemento prima di asfaltarli. I favorevoli, come anche i tecnici dello studio di fattibilità, sostengono invece che i benefici supererebbero di gran lunga i costi, contrapponendo all'esborso i vantaggi in termini economici per la città che supererebbero gli ottocento milioni di euro, tra miglioramento della qualità urbana e aumento del valore delle attività commerciali, che avrebbero nuovo impulso per l’attrattiva turistica che avrebbe la riapertura.


Il Comune di Milano ha investito nei terreni di Expo milioni di euro, ancora non è chiaro quanto di questo investimento tornerà alla città, di sicuro Expo non ha e non avrà, sia economicamente che urbanisticamente, l’impatto che avrebbe invece la riapertura della fossa interna. Si era sperato che proprio Expo fosse l’occasione giusta almeno per iniziare un recupero delle vie d’acqua, peraltro previsto nel progetto originale presentato a suo tempo, poi è subentrata una modifica sostanziale e molte delle opere indicate sono state in parte modificate.

IL BATEAUX MOUCHE

Per quanto riguarda la viabilità, l’eventuale chiusura della circonvallazione della cerchia dei Navigli, significherebbe aumentare l’accessibilità con i mezzi pubblici, a piedi e in bicicletta e, perché no?, con i Bateaux mouche, magari un trasporto pubblico su acqua come in altre città europee. Ad esempio a Madrid hanno riaperto il Manzanarre, a Tokio stanno riaprendo i canali, in altre grandi città si stanno recuperando le vie d’acqua a dimostrazione di quanto sia importante e moderno, dal punto di vista urbanistico, recuperare un patrimonio che scelte folli del passato hanno penalizzato. Certo la Milano dell’Ottocento non è più proponibile, ma una città più vivibile e a misura d’uomo è auspicabile. In attesa di vedere i Bateaux mouche navigare da Bereguardo al centro di Milano, non resta che continuare sulla strada intrapresa, coinvolgendo la città in questa scelta e sperando che la prossima amministrazione non blocchi il progetto ma prosegua il lavoro già avviato. Guardare al futuro ripristinando un’opera del passato.


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